Funerale don Francesco Orsi (15 novembre 2022)

Maria sta presso la croce di suo figlio, una croce che impedisce a suo figlio di andare, di operare. Gesù, che, partendo dalla Galilea, fino alla Giudea, «passò beneficando e risanando tutti coloro che stavano sotto il potere del diavolo» (At 10,38), ora è bloccato, non può più agire. Eppure Gesù, proprio in quella situazione di totale inattività, opera il bene più grande per gli uomini, li salva. Questo perché quella croce, imposta con violenza a Gesù da altri, lui la vive come gesto di alleanza, di amore, occasione di comunione.

Anche Maria non può più andare, resta bloccata presso la croce di suo figlio. Presso la croce Maria, con Giovanni, il discepolo amato e con le altre donne, è testimone del perdono che Gesù chiede al Padre per chi gli sta togliendo la vita («Padre, perdona loro perché non sanno quello che fanno»,  Lc 23,34), ascolta la promessa che Gesù fa al malfattore che gli aveva chiesto di non dimenticarlo («In verità io ti dico: oggi con me sarai nel paradiso», Lc 23,43), raccoglie le ultime parole del figlio che consegna la propria vita al Padre del cielo («Padre, nelle tue mani consegno il mio spirito», Lc 23,46).

Gesù crocifisso consegna al discepolo amato (e in lui a tutti i discepoli, alla Chiesa) Maria come “madre”, perché impariamo da lei a “dimorare” nell’amore che salva (la misericordia), per essere in grado di “andare” in mezzo agli uomini mossi da questo amore.

Nello “stare presso la croce” di Gesù, imposta a Gesù da altri, ma vissuta da lui come gesto di alleanza, di misericordia, Maria, come rileva papa Francesco, «attesta che la misericordia del Figlio di Dio non conosce confini e raggiunge tutti senza escludere nessuno» (Misericordiae Vultus, 24); diventa così madre di un amore che impara ad abitare situazioni difficili, che feriscono la vita, un amore che non si lascia spegnere, non si ritira rassegnato, ma assume queste situazioni, le vive come occasioni d’incontro, di bene. Un amore che impara dalle cose che “patisce” e le vive secondo la logica della comunione, perché questa è la logica della croce di Gesù.

Don Francesco, per tanti anni è “stato presso la croce di Gesù”. La cecità prima è l’inabilità, poi, che lo ha costretto a letto, lo hanno posto ai piedi della croce di Gesù. E’ stato presso la croce di Gesù con Maria, non solo perché ha svolto per quasi 50 anni un generoso e appassionato servizio nel Santuario dove Maria è venerata come “Madonna della rosa”, ma anche perché, come ha scritto nel testamento, si “è posto sotto la sua protezione materna” e perché ha appreso da lei, come un figlio obbediente, a vivere le prove della vita (la cecità e la prolungata inabilità sono tra le prove più impegnative) senza che queste inaridissero il suo cuore, di sacerdote e riducessero il suo ministero. Finché le condizioni di salute glielo hanno permesso don Francesco ha animato in Santuario la preghiera, celebrato l’Eucaristia e il sacramento della riconciliazione. Quando questo non è stato più possibile, don Francesco non ha abbandonato il suo servizio al Santuario che è proseguito con preghiera del Rosario, nel letto i cui era costretto; non si è allontanato dal Santuario, anche perché, grazie ai moderni mezzi della comunicazione partecipava dal letto alle celebrazioni più significative. Non si è allontanato nemmeno dal presbiterio: chiedeva sempre notizie degli incontri dei sacerdoti, assicurava di accompagnarli con la sua preghiera e mandava il suo saluto.

Nel suo essere stato presso la croce di Gesù, con Maria e come Maria, don Francesco ci testimonia una fede che è garanzia di una solida speranza nella sofferenza e che accompagna un ministero che, pur ridotto nell’attività, resta operoso e fecondo.

Don Francesco, ora che con Maria, che hai onorato come Madonna della rosa, non sei più ai piedi della croce, ma accanto al trono dell’Agnello immolato, Gesù risorto, accompagna con la tua preghiera d’intercessione il cammino della nostra Chiesa di Senigallia, del nostro presbiterio, perché le prove che in questi tempi l’hanno colpita non la rinchiudano nella paura, nella rassegnazione di chi non ha speranza, perché  non venga meno in noi il desiderio di essere testimoni del Vangelo di Gesù, la buona notizia che salva.