Gesù Cristo Re dell’Universo (22 novembre 2020)

Già l’accostamento in Gesù di due figure antitetiche, quella del “re” e quella del “pastore”, che ritroviamo nella preghiera della Colletta, suggerisce di considerare quella di Gesù una regalità atipica rispetto al modo con cui la esercitano gli uomini.

Tra gli uomini il re si sente “padrone” delle persone e le persone gli devono non solo ossequio, ma anche obbedienza. Ci sono stati e tuttora ci sono dei re che pretendono di disporre, con ogni mezzo, della vita dei propri “sudditi”.

Il pastore, invece, si considera “custode” delle pecore, preoccupato della loro incolumità e del loro benessere, come emerge con chiarezza dal ritratto che ne fa il profeta Ezechiele nella prima lettura (Ez 34,11-12.15-17). Il pastore, a differenza del re, non ottiene ascolto e obbedienza da parte delle pecore con minacce e punizioni.

La singolare unicità della regalità di Gesù è ulteriormente esplicitata nella Colletta quando si parla del compito ricevuto dal Padre: “costruire nelle tormentate vicende della storia il suo regno d’amore”.

Il regno che Gesù è impegnato a costruire “nelle tormentate vicende della storia” umana non nasce da un atto di forza, di prevaricazione, né si mantiene con la minaccia e la violenza, come è successo e continua a succedere per tanti regni tra gli uomini, ma da un’azione ispirata dall’amore, da un amore che mette fuori gioco la morte con tutti i suoi alleati (la paura, la violenza, l’odio, la menzogna…).

E’ l’apostolo Paolo a parlarci della vittoria di Cristo, quell’uomo grazie al quale “verrà la risurrezione dei morti…tutti riceveranno la vita” (1Cor 15,20-26.28). Noi sappiamo come Cristo ha sconfitto i suoi nemici, compreso, quello più irriducibile, la morte, sulla quale solo alla fine della storia avrà il sopravvento: non  con la violenza e la prevaricazione del re, ma con l’attenzione e la cura amorosa del pastore, fino all’offerta della propria vita.

Il regno che Gesù ha costruito con l’offerta della sua vita è la eredità che, è lui stesso a rivelarlo nel vangelo (Mt 25,31-46), il Padre “ha preparato per noi fin dalla creazione del mondo”.

Sempre nel vangelo Gesù ci fa sapere che noi erediteremo quel regno, dove la morte è messa definitivamente fuori gioco, se sulla terra percorreremo la stessa vita percorsa da lui, quella dell’amore che si prende cura dei suoi “fratelli più piccoli”, nei quali lui si riconosce, quelle persone che patiscono la tante ferite della vita, ferite che, spesso sono provocate da chi si comporta con la prepotenza del re e non con l’attenzione del pastore, del custode.

Riusciremo a percorrere questa strada se non ci lasceremo guidare dalla paura (la grande alleata della morte) di perdere quei beni a cui affidiamo il compito di garantire sicurezza alla nostra esistenza, ma dalla fede, dalla fiducia in Gesù, che quale “primogenito di molti fratelli e di coloro che risusciteranno”, ha percorso per primo questo cammino e che si identifica nei “fratelli più piccoli”, perché più bisognosi di attenzione e di cura.

Sappiamo dalla vita che spesso, soprattutto di questi tempi, dare credito a Gesù nel percorre la strada dell’amore solidale, della cura delle persone ferite, non è una decisione facile da prendere. Per questo continuiamo a chiedere al Padre di Gesù di “alimentare in noi la certezza di fede”, che sa che la strada tracciata da Gesù, il re che si prende cura delle persone come un pastore attento e premuroso, conduce chi la percorre alla vita piena, a una vita risorta, come è stato per lo stesso Gesù.