La solennità di Gesù Cristo, Re dell’universo, conclude l’anno liturgico, durante il quale abbiamo camminato con il Signore Risorto, incontrato ogni domenica nell’Eucarestia. Che Gesù fosse re l’abbiamo saputo subito, agli inizi dell’anno, dalla domanda di alcuni sapienti d’oriente, i re Magi, alla ricerca del “re dei Giudei” e dal loro gesto di fronte a Gesù, ancora bambino («si prostrarono e lo adorarono», Mt 2,11). Quella del bambino, trovato in una casa di Betlemme, era una regalità ancora sconosciuta e osteggiata dal potente del luogo, il re Erode.
Il vangelo di quest’ultima domenica (Gv 18,33-37) ci presenta Gesù, uomo maturo, interrogato sulla sua regalità da chi lo ha di fronte a sé in catene e ha in mano la sua vita (Pilato). Gesù non fa mistero della sua regalità (“io sono re”); corregge però l’immagine corrente: non ha servitori disposti a dare la vita per difenderlo («Il mio regno non è di questo mondo; se il mio regno fosse di questo mondo, i miei servitori avrebbero combattuto perché non fossi consegnato ai Giudei; ma il mio regno non è di quaggiù»); inoltre non piega la verità alla propria regalità, ma mette la propria regalità al servizio della verità («Per questo io sono nato e per questo sono venuto al mondo: per dare testimonianza alla verità»).
L’immagine degli inizi – un bambino anonimo, sconosciuto a tutti – e quella della fine – un uomo imprigionato, sotto interrogatorio – suscita un interrogativo: «Dove sta la regalità di Gesù, in che cosa consiste questa regalità?».
La risposta ci è data dal testo dell’Apocalisse (1,5-8), proposto dalla liturgia di questa domenica: Gesù Cristo è “il sovrano dei re della terra”, è riconosciuto da tutti, anche da quelli che lo ucciso con violenza (“lo trafissero”); è un re unico perché in grado di sconfiggere la morte (“primogenito dei morti”) e capace di togliere di mezzo il male compiuto dagli uomini (“ci ha liberati dai nostri peccati”).
Gesù fa tutto questo, non per interesse, per un calcolo politico, per guadagnare consensi, né per tenerci in pugno, ma perché ci ama. Dietro il potere che Gesù esercita come re, sta il suo amore per noi, la sua passione per gli uomini. Si spiega così perché Lui, al quale gli è riconosciuta “la gloria e la potenza nei secoli dei secoli”, si fa bambino e si lascia catturare e interrogare da un funzionario pagano, non si oppone a chi lo trafigge a morte.
Gesù non è un re debole, ma potente. La sua potenza però non sta nel potenziale di morte che può mettere in campo a propria difesa, contro i propri nemici, ma in un amore che si concede fino in fondo; una potenza che non s’impadronisce delle persone, della loro libertà, ma che la ridona a chi l’ha persa e non è in grado di riprendersela.
Questo tipo di regalità non è incompatibile con la verità, con la vita, la giustizia, l’amore, la pace; traccia inoltre il nostro cammino di vita: essere testimoni del regno di giustizia e di pace inaugurato da Gesù. come recita la Colletta della Messa: «O Padre, che hai mandato nel mondo il tuo Figlio, re e salvatore, e che ci hai resi partecipi del sacerdozio regale, fa’ che ascoltiamo la sua voce, per essere nel mondo fermento del tuo regno di giustizia e di pace».