Giornata Mondiale del Malato (11 febbraio 2018)

Un’altra guarigione di Gesù; questa volta da una malattia “mortale”, non solo perché di lebbra ai tempi di Gesù si moriva, ma anche perché chi veniva colpito da questa malattia, era allontanato da tutti e, praticamente, lasciato morire. La Legge (cfr la prima lettura Lv 13,1-2.45-46) proibiva non solo contatti con i lebbrosi, ma imponeva a chi era ammalato un abbigliamento e un comportamento umilianti.

Ora nel racconto evangelico sia il lebbroso che Gesù trasgrediscono la Legge: il lebbroso si avvicina a Gesù e, invece di gridare la propria impurità, rivolge a Gesù una preghiera («Se vuoi puoi purificarmi»); Gesù, invece di tenere a distanza il malato, addirittura lo tocca, rischiando il contagio e diventando a sua volta una persona impura.

Gesù trasgredisce la Legge non per gioco, nè per fare il bastian contrario, ma per “compassione”, perché si prende a cuore quella persona senza scampo (“ne ebbe compassione” segnala l’evangelista Marco).

La compassione di Gesù fa del suo toccare il lebbroso come una carezza. La carezza è un tocco speciale, un tocco che dice tante cose, l’affetto, la vicinanza, l’incoraggiamento, la delicatezza, dice alla persona che può contare su di me.

Mi piace pensare che Gesù abbia guarito quella persona, ormai perduta per la sua malattia, con una carezza.

Quella carezza trasmette al lebbroso la guarigione implorata, a Gesù l’impurità del lebbroso e costringe Gesù a stare dove prima stava il lebbroso. Sembra dirci questo l’evangelista Marco quando segnala che Gesù “non poteva più entrare pubblicamente in una città, ma rimaneva fuori in luoghi deserti”.

Questa guarigione ha qualcosa da dirci, ci sollecita a

  • Aver fiducia in Gesù, anche quando ci troviamo in situazioni “irrimediabili”; andare da Lui, lasciarci accarezzare con il tocco della sua compassione. La carezza di Gesù che ci risana sono la sua parola, l’Eucaristia, i sacramenti, in particolare quello dell’Unzione degli infermi che tra poco riceverete voi ammalati.

L’invito oggi è rivolto in modo particolare alle persone colpite da una malattia, soprattutto da quelle malattie che aggrediscono non solo il corpo, ma anche la speranza. Il lebbroso li sollecita ad andare da Gesù per dirgli anche loro: “Se vuoi puoi guarirmi, dalla mia sofferenza, dalla mia sfiducia, dal mio abbattimento, dalla mia paura…”

  • Non prendere le distanze di chi soffre, anche quando la sofferenza è impegnativa e si prolunga nel tempo. Gesù, con il suo generoso avvicinarsi al lebbroso ci sollecita a non stare a distanza nei confronti di chi soffre, prigionieri delle nostre paure, della nostra fretta e dei nostri impegni.

Questo perché anche ciascuno di noi, può rappresentare quella carezza con cui Gesù si fa vicino a chi soffre.

Ringrazio tutte le persone, volontari, medici, infermieri, familiari, che si fanno carico con generosità e pazienza, della sofferenza di chi è colpito dalla malattia.