I domenica di Quaresima (9 Marzo 2025)

La richiesta presentata a “Dio, nostro Padre”, nella preghiera della Colletta – “crescere nella conoscenza del mistero di Cristo e testimoniarlo con una degna condotta di vita” –  di per sé riguarda l’intero arco di tempo della nostra esistenza di credenti. Rivolgerla a Dio all’inizio del “tempo forte” (per la generosa elargizione della grazia da parte di Dio e per il particolare impegno da parte nostra) dice che «quanto ciascun cristiano è tenuto a fare in ogni tempo, deve ora praticarlo con maggior sollecitudine e devozione» (S. Leone Magno).

Nel linguaggio biblico la conoscenza non fa riferimento solo al conoscere intellettuale, ma dice una profonda esperienza di intimità, di condivisione con la persona con cui si entra in relazione.

Alla luce di questo rilievo nella preghiera della Colletta chiediamo a Dio Padre di vivere con Gesù Cristo una relazione sempre più  profonda (“crescere”), tanto da apprezzare il suo valore per noi, per la nostra esistenza. Non solo per noi, ma anche per tutti. un apprezzamento che c’impegna, ci spinge a raccontarlo (“testimoniarlo”) “con una degna (adeguata) condotta di vita.

Mi pare che i tre testi della parola di Dio della prima domenica di Quaresima, pur con sottolineature proprie, ci riconducono a quella dimensione – la fede – che qualifica la nostra esistenza di credenti.

Una fede che sa riconoscere l’azione di Dio nella vita. Come racconta la prima lettura (Dt 26,4-10), dove la pratica imposta dalla Legge di portare al Signore un cesto contenente i frutti del suolo era accompagnata dal racconto dell’intervento del Dio dei padri a favore del popolo d’Israele, umiliato con la schiavitù da un altro popolo, gli Egiziani («Gli Egiziani ci maltrattarono, ci umiliarono e ci imposero una dura schiavitù. Allora gridammo al Signore, al Dio dei nostra, e il Signore ascoltò la nostra voce, vide la nostra umiliazione, la nostra miseria e la nostra oppressione»), restituendogli la libertà («Ci fece uscire dall’Egitto con mano potente…ci condusse in questo luogo e ci diede questa terra, dove scorrono latte e miele»).

Chiediamoci se anche noi possiamo raccontare del Signore che ha restituito speranza alla nostra vita.

L’apostolo Paolo nella seconda lettura (Rm 10,8-13) parla di una fede che non delude perché fa affidamento sul «Signore di tutti, ricco verso tutti quelli che lo invocano». Per questo aderisce pienamente (“col tuo cuore”) all’azione di Dio che “ha risuscitato dai morti” Gesù, non solo riconosce la vicinanza della sua Parola («vicino a te è la Parola, nella tua bocca e nel tuo cuore»), ma si fa sua portavoce («Se con la tua bocca proclamerai: “Gesù è il Signore!”»). La conclusione cui giunge l’Apostolo: «sarai salvo».

Chiediamoci se la pratica della nostra fede ci coinvolge totalmente (“col cuore e con la bocca”), se cioè l’adesione al Signore non resta superficiale, ma interferisce con il nostro cuore, lo riplasma, ispira il nostro modo di pensare, guida le nostre scelte. Chiediamo ci anche se la nostra è una fede che testimonia non solo a parole (“con la bocca”), ma anche “con una degna condotta di vita”, che il Signore ascolta (“salva”) chi “invoca il suo nome”.

Il vangelo (Lc 4,1-13) racconta i tentativi (le tentazioni) che il diavolo (il cui nome significa: “colui che divide”) mette in atto per allontanare (separare) Gesù da Dio suo Padre. Gesù manda a vuoto il tentativo del diavolo, perché sceglie di dare ascolto al Padre, al sua parola raccolta nel libro delle Scritture Sante (alla proposte del diavolo oppone il riferimento a passi delle Scritture: “Sta scritto…”).

Chiediamoci se anche noi, come Gesù, facciamo della parola di Dio il punto di riferimento della nostra esistenza, se prestiamo ascolto a questa Parola quando il grande Divisore ci propone percorsi, scelte diverse,  che ci portano lontano da Dio, ci separano da Lui.