Il cammino della parola di Dio, la sua possibilità di essere ascoltata da quei tutti cui è rivolta (“ogni uomo”), sembrano pregiudicati, in quanto la persona cui è destinata (Giovanni, il figlio di Zaccaria) e il luogo della sua risonanza (il deserto) non offrono, a prima vista, molte garanzie.
Giovanni Battista non compare nella lista delle personalità politiche (l’imperatore romano Tiberio Cesare, il suo rappresentante in Palestina, Ponzio Pilato e i diversi governatori di quella terra, Erode, il fratello Filippo e Lisània) e religiose (i sommi sacerdoti Anna e Caifa) nominate nell’introduzione del vangelo di Luca della 2a domenica di Avvento (Lc 3,1-6), non è uno dei potenti che guidano la storia, che fanno parlare di sé, come. La parola di Dio, poi, non risuona nei palazzi che contano, meta di tante persone, centri di potere, ma nel “deserto”, luogo appartato, inospitale, frequentato da poche persone, dove quello che accade non ha risonanza, non fa notizia, non può essere pubblicizzato.
Eppure questa parola ha una destinazione universale, porta una notizia che riguarda tutti gli uomini. Si tratta di una “buona” notizia, perché afferma che “ogni uomo vedrà la salvezza di Dio”.
La bontà della notizia, di cui Giovanni Battista si fa portavoce (“Voce di una che grida nel deserto”), è data dal fatto che tutti gli uomini, non solo alcuni – i potenti, i più fortunati – avranno la possibilità di sperimentare (“vedere”) la salvezza di Dio all’opera nella loro esistenza, costantemente minacciata dal male che la avvilisce e che appare invincibile.
E’ della stessa qualità la notizia che il profeta Baruc dà agli Israeliti esiliati a Babilonia: «Dio ricondurrà Israele con gioia alla luce della sua gloria, con la giustizia e la misericordia che vengono da lui» (Bar 5,1-9, 1a lettura). Grazie a questa buona notizia il popolo di Dio non è più nella tristezza («Deponi, o Gerusalemme, la veste di lutto e dell’afflizione»), può tornare a gioire («rivestiti dello splendore della gloria che ti viene da Dio per sempre»).
Anche per l’apostolo Paolo c’è una buona notizia da dare ai cristiani di Filippi (Fil 1,4-6.8-11, 2a lettura): l’ “opera buona” del vangelo di Gesù che si diffonde e che Dio “porterà a compimento fino al giorno di Gesù”, nel quale il male che aggredisce la vita degli uomini sarà definitivamente sconfitto.
Giovanni Battista, nella sua predicazione, ricorda che la “felice notizia” della liberazione dal male diventa realtà effettiva, si realizza, non a prescindere da noi, indipendentemente dalla nostra decisione al riguardo. Per questo invita a “preparare la via del Signore” e a “raddrizzare i suoi sentieri”. Il senso del pressante invito – Giovanni non parla, ma grida – è quello di creare in noi, nel nostro cuore e nella nostra esistenza, le condizioni perché l’opera buona di Dio a nostro favore non resti solo una bella notizia, ma diventi realtà effettiva, pacificante.
Anche noi, come Giovanni, il figlio di Zaccaria, non entriamo nell’elenco dei potenti che guidano la storia degli uomini, che fanno notizia, anche noi, come lui, non “portiamo vesti suntuose” né “stiamo nei palazzi dei re” (Lc 7,25). Anche noi però, come Giovanni, siamo raggiunti dal Signore, dalla sua parola, la quale “scende” in quel luogo “deserto”, che è il nostro cuore, il luogo del silenzio, dell’incontro con noi stessi, dove ciò che accade resta conosciuto solo a noi, il luogo dove veniamo messi alla prova dalla vita e dove decidiamo l’orientamento dell’esistenza.
Questa Parola ci raggiunge quando celebriamo l’Eucaristia, ci accostiamo al sacramento del perdono di Dio, quando meditiamo il Libro delle Scritture sante, per offrirci l’alleanza col Dio di Gesù che libera il nostro cuore e la nostra vita dal male. Questa Parola ci raggiunge anche quando incrociamo le persone, soprattutto quelle che sono segnate dal male, che da sole non sono in grado di liberarsene e ci invita a dire, con il nostro modo di accostarli, di prendersi cura di loro, di aver tempo per loro, che la salvezza di Dio è destinata anche a loro.
Se non vogliamo che l’offerta di Dio vada a vuoto, resti occasione mancata, per noi e per gli altri, dobbiamo “convertirci” a essa, prestare cioè attenzione a essa, “girare” il cuore verso di essa, perché la nostra vita ne sia segnata profondamente. Perché questo accada dobbiamo impegnarci a “spianare quelle montagne” e a “colmare quei burroni” che abbiamo costruito nel cuore, con la nostra incredulità, la finzione, la superficialità e le tante dissipazioni della vita e le connivenze col male, a togliere, cioè, quanto nella nostra vita impedisce a questa salvezza di operare. Perché questa “conversione” si compia abbiamo chiesto al Dio “grande misericordioso” nella preghiera della Colletta, di fare in modo che “il nostro impegno nel mondo (il nostro modo di impostare la vita) non ci ostacoli nel cammino verso il suo Figlio”.