II domenica di Avvento (6 dicembre 2020)

La richiesta che abbiamo rivolto a Dio, “Padre di ogni consolazione” nella preghiera della Colletta è precisa: «parla oggi al cuore del tuo popolo». A incoraggiare la richiesta sta il riconoscimento della promessa fatta da Dio stesso “agli uomini pellegrini nel tempo”: una nuova creazione (“terra e cieli nuovi”) e il nostro desiderio di «in purezza di fede e santità di vita camminare verso il giorno in cui manifesterai pienamente la gloria del tuo nome».

Il “Padre di ogni consolazione” asseconda volentieri la nostra richiesta rivolgendoci la sua parola, con il profeta Isaia (40,1-5.9-11), l’apostolo Pietro (2Pt 3,8-14) e Giovanni Battista (Mc 1,18).

Il profeta Isaia riceve dal Signore il compito di consolare il suo popolo: “Consolate, consolate il mio popolo”, (letteralmente: “permettete di dare un profondo respiro di sollievo”).

Il popolo da consolare è un popolo che, in esilio a Babilonia, ha perso tutto, ha perso la patria, la libertà, la dignità e anche la fiducia in Dio; è un popolo che si sente abbandonato e senza speranza.

Dio utilizza il linguaggio tipico dell’amore («parlate al cuore”) e per rassicurare il popolo sollecita il profeta a dare la buona notizia della liberazione, una notizia che consolerà Israele, che permetterà di “dare un profondo sospiro di sollievo”. Per questo non va comunicata come una delle tante notizie di cronaca, ma deve arrivare al cuore («parlate al cuore di Gerusalemme»), non va soltanto detta, ma “gridata” («gridatele… alza la voce»).

Il profeta non deve “gridare” solo la buona notizia dell’imminente liberazione, ma anche sollecitare il coinvolgimento del popolo nella propria liberazione («Nel deserto preparate la via al Signore, spianate nella steppa la strada per il nostro Dio. Ogni valle sia innalzata, ogni monte e ogni colle siano abbassati; il terreno accidentato si trasformi in piano e quello scosceso in vallata»). Il profeta chiede di preparare la via al Signore, aprendosi ai suoi doni e alla sua salvezza.

Per Israele la consolazione inizia con la possibilità di camminare su una strada nuova, percorribile (senza valli e montagne) che rendono faticoso il cammino di liberazione da ogni ostacolo, una strada tracciata nel deserto, che gli consentirà di attraversarlo e di tornare nella propria patria, alle proprie case.  Solo così il popolo d’Israele potrà intraprendere il cammino della libertà, un cammino che è tale perché il popolo ha di fronte a sé un futuro, dove il desiderio di condurre un’esistenza libera e piena non sarà più compromesso né deluso.

L’apostolo Pietro ci parla di una duplice attesa, quella del Signore e la nostra. L’attesa del Signore:                  «Il Signore non ritarda nel compiere la sua promessa, anche se alcuni parlano di lentezza. Egli invece è magnanimo con voi, perché non vuole che alcuno si perda, ma che tutti abbiano modo di pentirsi».

Il Signore aspetta a compiere la sua promessa, perché non vuole perdere nessuno dei suoi figli, perché desidera che tutti i suoi figli possano beneficiare di questa promessa, possano prendere parte a quanto lui ha preparato per tutti. La promessa di Dio è chiarita più avanti nel testo, quando si dice che noi aspettiamo, proprio a partire dalla promessa di Dio (“secondo la sua promessa”), “nuovi cieli e una terra nuova, nei quali abita la giustizia”.

La nostra attesa: «Noi, infatti, secondo la sua promessa, aspettiamo nuovi cieli e una nuova terra, nei quali abita la giustizia». Ciò che attendiamo non è un futuro dai contorni indefiniti o inquietanti, ma un dimora nuova, preparata da Dio stesso, per questo una dimora ospitale, perché vi abita la giustizia e non la sopraffazione. Un’attesa, la nostra, che ci deve impegnare a fondo (“fate di tutto”) a condurre un’esistenza all’altezza della promessa di Dio (“in purezza di fede e santità”, come abbiamo pregato nella Colletta) per essere trovati nella pace, cioè nella condizione voluta da Dio, in sintonia con Lui e consentirgli di compiere la sua promessa.

Nel vangelo risuona la parola di Giovanni Battista («Voce di uno che grida nel deserto: “Preparate la via del Signore”»). L’evangelista Marco varia la citazione di Is 40,3: «Una voce grida: “Nel deserto preparate la via al Signore”». Tenendo presente i due testi: il deserto è il luogo dove risuona la voce che annuncia la venuta del Signore (il “più forte”) e dove prepariamo la strada, la via del Signore, propiziamo la sua venuta.

Abbiamo chiesto al Signore di rivolgerci “oggi” la sua parola. L’oggi della situazione che stiamo vivendo ormai da alcuni mesi ci fa sentire come il popolo d’Israele in esilio: abbiamo perso le nostre sicurezze, quelle che pensavamo ci avrebbero garantito un’esistenza serena. Inoltre temiamo di perdere anche il nostro futuro, all’orizzonte del quale non intravediamo nessuna promessa affidabile. Ci sentiamo come in un deserto desolato e inospitale.

Proprio in questo deserto inospitale e desolato ci raggiunge la promessa del Signore e risuona la voce che annuncia la sua presenza che fa rifiorire la vita, una voce che ci invita a preparare la “via al Signore, ad “appianare la strada per il nostro Dio”, a rendere cioè possibile la venuta del Signore.

Perché non abitare questi giorni di lutti, di privazioni, di timori, dando ancora più credito alla promessa di Dio, riservando maggiore ascolto alla sua parola, rispetto a tante altre parole, anche a quelle che, con presunzione, si sostituiscono alla sua parola di speranza, d’incoraggiamento con parole di minaccia, di valutazioni sommarie e di condanne inappellabili?

Perché non accogliere l’invito del profeta a preparare nel “deserto” di questa situazione una via di accesso al Signore nel nostro cuore, nella nostra vita, nelle nostre sofferenze e paure, nelle nostre relazioni, nei nostri progetti?

Perché non cercare di trasformare il “terreno accidentato” di un’esistenza prigioniera della superficialità nel valutare ciò che ha veramente valore, dell’indifferenza nei confronti delle sofferenze degli altri, della insofferenza verso chi percepiamo distante dal nostro modo di vedere le cose, di considerare le situazioni, della paura che ci induce a tante chiusure, in una “vallata” dove è possibile camminare con fiducia con il Signore e con gli altri, rincuorati dalle promesse del Signore e dalla solidale condivisione dei disagi, delle sofferenze e dei progetti per nuove ripartenze?