II domenica di Pasqua (11 aprile 2021)

La preghiera della Colletta della 2a domenica di Pasqua si fa’ apprezzare per la sua “straripante” ricchezza. Un primo segnale di questa ricchezza è offerto dall’indicazione del destinatario della preghiera, riconosciuto come “Dio di eterna misericordia”. Da quanto scrive l’apostolo Paolo nella lettera ai cristiani di Efeso («Dio, ricco di misericordia, per il grande amore con il quale ci ha amato, da morti che eravamo per le colpe, ci ha fatto rivivere con Cristo», Ef 2,4-5), risulta che la misericordia è l’amore di Dio che raggiunge gli uomini nella loro condizione di lontani dal Dio vivente (“morti”) e li “fa’ rivivere”, ritornare a una vita “riconciliata”. La specificazione di una misericordia “eterna” va ben oltre il riferimento a un’estensione nel tempo (“per sempre”), perché riguarda soprattutto la sua qualità di una ricchezza che lo scorrere del tempo, l’atteggiamento degli uomini, destinatari di questa misericordia, non solo non esauriscono, ma nemmeno riducono, affievoliscono, fino alla sua scomparsa.

Il riferimento al “Dio, ricco di misericordia” richiama la decisione di S. Giovanni Paolo II, 21 anni fa, di denominare la 2a domenica di Pasqua, la “domenica della divina Misericordia” per esaudire il desiderio di Gesù che santa Faustina Kowalska racconta nel duo Diario: «Desidero che la festa della Misericordia sia di riparo e di rifugio per tutte le anime e specialmente per i poveri peccatori… Nessuna anima abbia paura di accostarsi a me, anche se, i suoi peccati fossero come scarlatto».

La preghiera riconosce poi che “Dio, ricco di misericordia”, “ogni anno nella festa di Pasqua ravviva la fede del suo popolo santo”. Nella Pasqua che abbiamo celebrato, secondo il calendario civile, la scorsa domenica e che celebriamo, secondo il calendario liturgico, ogni domenica, Dio “ravviva” (ridà slancio, vigore) alla nostra fede.

Alla fede che Dio “ravviva”, quando celebriamo la Pasqua di Gesù, suo Figlio, fanno riferimento i testi della parola di Dio, appena proclamati.

Nel testo del libro degli Atti degli Apostoli (cfr 1a lettura, 4,32-35) la fede in Gesù risorto, raccoglie i credenti come “un cuore solo e un’anima sola”, come comunità di persone solidali, che condividono i loro beni, tanto che, rileva l’Autore del Libro, «nessuno tra loro era bisognoso». Questa «fede che si rende operosa mediante la carità» (cfr Gal 5,6), ottiene alla primitiva comunità cristiana l’apprezzamento generale («tutti godevano di grande favore»), è una fede che testimonia la vita nuova inaugurata dalla Pasqua di Gesù.

L’apostolo Giovanni, nella sua prima Lettera (cfr 2a lettura, 1Gv 5,1-6) parla della fede che “vince il mondo”. Per l’Apostolo la “fede che vince il mondo” riconosce che Gesù è il Cristo, il Figlio di Dio, ama Dio e osserva i suoi comandamenti. Il “mondo” sconfitto da questa fede non è solo quello attorno a noi, che non riconosce Gesù Cristo come il suo Salvatore, che non ama Dio e non osserva i suoi comandamenti, ma è anche il “mondo” che si trova dentro di noi, rappresentato dalla nostra autoreferenzialità, dalle nostre chiusure a Dio, agli altri, dalle nostre evasioni dei suoi comandamenti.

Nel vangelo di Giovanni (20,19-31) si racconta della fede di Tommaso (“ha creduto perché ha veduto”) e della nostra fede (“quelli che non hanno visto e hanno creduto”). Gesù ci considera “beati” (fortunati, persone da apprezzare). Noi abbiamo la possibilità di rivolgerci a Gesù con la sua stessa professione di fede («Mio Signore e mio Dio»), perché qualcuno ha messo per iscritto i “segni” (azioni, miracoli, parole) compiuti da Gesù. il riferimento è ai Vangeli, che possiamo leggere, scritti con la precisa intenzione (desiderio) che anche noi che “non abbiamo veduto” i segni compiuti da lui, “crediamo che Gesù è il Cristo, il Figlio di Dio e, perché credendo abbiamo la vita nel suo nome”.

Quanto riferito riguardo alla fede nei tre testi della parola di Dio consente di apprezzare l’azione di “ravvivamento” della nostra fede da parte di “Dio di eterna misericordia” nella celebrazione della Pasqua annuale e in quella settimanale (la domenica).

La preghiera della Colletta prosegue con la nostra richiesta: «accresci in noi la grazia che ci hai donato». La grazia donataci da Dio è a un tempo il suo amore che ricrea la nostra vita (la misericordia) e la fede che riconosce questo amore, lo apprezza, lo accoglie e lo lascia operare nella nostra esistenza.

La richiesta di “accrescere in noi la grazia” non va intesa come favorire un aumento “quantitativo” (l’amore donato da Dio gratuitamente [la grazia] non è una cosa), ma come l’incremento della sua azione benefica nei nostri confronti, perché, come conclude la preghiera, «comprendiamo (riconosciamo, apprezziamo, lasciamo agire) l’inestimabile ricchezza», dei mezzi con cui la grazia di Dio raggiunge e “ravviva” la nostra esistenza, quali il Battesimo (con la sua azione di liberazione dalle conseguenze del peccato d’origine [purificazione] e l’Eucaristia (la Pasqua di Gesù [il Sangue] che ci ha redenti) e quella dell’azione dello Spirito Santo (la nostra rigenerazione).