La richiesta a Dio, “Padre buono”: «Rafforzaci nell’obbedienza della fede». Il motivo della richiesta: «perché seguiamo in tutto le orme» di Gesù e «siamo con lui trasformati nella luce della tua gloria».
- L’ “obbedienza della fede”. La circolarità tra obbedienza e fede: l’una illumina l’altra. L’obbedienza indica la disposizione (ob-audire) a un ascolto dell’altro che si esprime nel lasciarsi guidare, nel compiere quanto ci viene chiesto. In riferimento alla fede, la riscatta dalla indeterminatezza, dal pericolo di restare solo una disposizione interiore, ininfluente sulle scelte della vita, dall’esser vissuta come resa e non come gesto della libertà, una libertà che si fida dell’altro.
- La richiesta di essere rafforzati nell’obbedienza della fede è giustificata dall’essere messi in grado di seguire in tutto il cammino di Gesù. Di questo suo cammino Gesù aveva parlato ai discepoli appena prima della sua trasfigurazione («Egli cominciò a insegnare loro che il Figlio dell’uomo doveva soffrire molto ed essere rifiutato dagli anziani, dai capi dei sacerdoti e dagli scribi, venire ucciso e, dopo tre giorni, risorgere», Mc 8,31) e aveva anche tracciato il loro cammino dietro a lui («Se qualcuno vuole venire dietro a me, rinneghi se stesso, prenda la sua croce e mi segua», Mc 8,34).
C’era stata una prima reazione negativa alle parole di Gesù: Pietro lo aveva “preso in disparte” e “rimproverato”. Marco non ci parla della reazione dei discepoli, alle parole di Gesù sulla sua sequela. Possiamo immaginare che non sia stata di grande entusiasmo.
Ora, sul monte quel Gesù che aveva sconcertato Pietro appare nella sua condizione originaria di Figlio, riconosciuta dalla voce dal cielo – quella del Padre – («Questi è il Figlio mio, l’amato»), la quale invita i discepoli ad ascoltarlo, sia per quello che aveva detto di sé, sia per quello che aveva affermato per la sua sequela.
I tre discepoli sono sollecitati all’obbedienza della fede nei confronti di Gesù, un’obbedienza che dà fiducia, ascolto, sia a Gesù che al Padre di Gesù.
- Nella richiesta fatta al Padre buono l’obbiettivo di questa sequela appare “ambizioso”, la nostra “trasformazione” con/come Gesù. Non si tratta di un gioco di prestigio, né di un cambiamento di identità, ma del venire alla luce della nostra identità originaria, quella cioè di essere considerati da Dio, come Gesù, figli amati. Il Padre ci invita a seguire Gesù perché in lui e grazie a lui noi ritroviamo la nostra identità profonda, la nostra esistenza assume i tratti di un’esistenza filiale, come quella di Gesù, la nostra libertà sperimenta il proprio compimento, come Gesù, nella consegna di sé, piena di fiducia, al Padre.
- Perché questa richiesta a Dio Padre? Anzitutto perché anche noi, come Pietro e i suoi amici, siamo in difficoltà a seguire Gesù sulla strada del dono della nostra vita, del non salvarla alla nostra maniera.
A sollecitarci a salvare la vita alla nostra maniera, sta un costume, largamente diffuso, che propone il contrario di quanto afferma Gesù: la vita la salvi se te la tieni ben stretta nelle tue mani, se al centro della tua esistenza metti te stesso e misuri tutto (persone, scelte di vita…) a partire da te, dai tuoi diritti.
In secondo luogo perché, come scrive l’apostolo Paolo nella lettera ai Romani (2a lettura, Rm 8,31-34), di Dio ci si può fidare, perché ha consegnato suo Figlio per noi tutti.
La Quaresima: tempo propizio per conferire alla nostra esistenza i tratti di un’esistenza filiale, seguendo Gesù, accogliendo la sua parola, consentendo alla sua parola di istruire il nostro cuore di guidare la nostra libertà nelle sue scelte.