La parola che ci interpella e che traccia il cammino della nostra vita. Questa potrebbe essere la conclusone suggerita dalle due vicende, quella di Samuele, raccontata dalla prima lettura (1Sam 3,3b-10.19) e quella di Andrea con il suo amico, raccontata dal vangelo (Gv 1,35-42).
A interpellarci e a suggerirci il percorso della vita, prima della parola di Dio è la parola degli uomini, precisamente la parola di chi ci ha generato. Appare sorprendente che un padre e una madre rivolgano delle parole al figlio o alla figlia che hanno generato, ancora prima che siano in grado di comprenderne il senso. E’ altrettanto sorprendente notare la reazione di stupore, di piacere, di serenità del figlio e della figlia a queste parole che ancora non comprendono, ma che già avvertono, sentono, come parole amiche, affidabili, alle quali si consegnano. E’ proprio grazie a queste parole, al modo con cui queste parole sono rivolte a loro, che un figlio e una figlia saranno in grado, non solo di riconoscere i propri genitori tra le tante persone che rivolgono loro la parola, ma anche di avvertire, anche se in modo ancora iniziale, di essere stati accolti nel mondo e che qualcuno si sta prendendo cura di loro.
Se un padre o una madre non rivolgessero mai la parola ai propri figli, o attendessero che i figli siano in grado di comprendere le loro parole, costoro, non solo non sarebbero in grado di parlare, di comunicare, ma anche non percepirebbero di essere accolti e accuditi.
Quanto rilevato a proposito della decisività delle parole che gli uomini si rivolgono, vale anche per la parola che Dio rivolge a quelle creature, che siamo noi umani.
Questo l’aveva ben compreso il salmista, quando rivolge a Dio un’accorata supplica: «A te grido, Signore, mia roccia, con me non tacere: se tu non mi parli sono come chi scende nella fossa» (Sal 28,1). E questo lo devono aver sperimentato i protagonisti della prima lettura (Samuele) e del vangelo (Andrea e il suo amico), proclamati nella celebrazione liturgica.
Samuele era un ragazzo che viveva nel Tempio, dove l’aveva condotto la sua mamma per onorare un voto al Signore, al quale aveva chiesto il dono di un figlio («Se darai alla tua schiava un figlio maschio, io lo offrirò al Signore per tutti i giorni della sua vita», 1Sam 1,11).
Il racconto biblico segnala che Samuele «non aveva ancora conosciuto il Signore né gli era stata ancora rivelata la parola del Signore». Il ragazzo conosceva solo l’anziano sacerdote Eli, con il quale viveva nel Tempio e ascoltava solo le sue parole.
Per questo quando il Signore gli rivolge per la prima volta la parola, la scambia per la parola di Eli e così per altre due volte. Fino a quando l’anziano sacerdote, che aveva dimestichezza con il Signore («comprese che il Signore chiamava il ragazzo»), rivela a Samuele la provenienza di quella parola misteriosa e gli suggerisce come comportarsi («Vattene a dormire e, se ti chiamerà, dirai: “Parla, Signore, perché il tuo servo ti ascolta”»).
Il racconto prosegue informandoci della crescita del ragazzo («Samuele crebbe e il Signore fu con lui») e del credito che darà alla parola del Signore («né lasciò andare a vuoto una sola delle sue parole»). Il Signore accompagna con la sua parola il cammino di crescita di Samuele. Altre volte il Signore gli rivolgerà la sua parola e Samuele non verrà meno a quella iniziale disponibilità dichiarata da piccolo nel Tempio.
Anche la vita di Andrea e del suo amico è segnata dall’ascolto della parola di altri, anzitutto della parola di Giovanni Battista, del quale erano discepoli. Ed è proprio la segnalazione di Giovanni riguardo a Gesù («Fissando lo sguardo su Gesù che passava, disse: “Ecco l’Agnello di Dio!”») che li mette in movimento verso Gesù («sentendolo parlare, seguirono Gesù»). Sarà la parola di Gesù che da quel momento li accompagnerà nel percorso della loro esistenza.
Anzitutto Gesù rivolge ai due amici una domanda seria che li interpella riguardo al loro comportamento («Che cosa cercate?») e che chiede di fare chiarezza riguardo alle loro intenzioni. La risposta che Gesù dà alla loro contro-domanda («Rabbì, dove dimori?») li invita a dare credito alla sua indicazione («Venite e vedrete»).
Il racconto evangelico ci informa che i due accolgono l’invito di Gesù («Andarono dunque e videro dove egli dimorava e quel giorno rimasero con lui»), ci informa anche che Andrea comunicherà al fratello Simone la loro scoperta («Abbiamo trovato il Messia»).
Quell’incontro con Gesù, sulle rive del Giordano, segnerà per sempre l’esistenza di Andrea e del suo amico, tanto che Giovanni (forse l’amico stesso di Andrea), il narratore, a distanza di anni, ricorderà l’ora («erano le quattro del pomeriggio»). Anche Andrea e il suo amico, come Samuele, “non lasceranno andare a vuoto una sola parola” di Gesù; anche da parte loro la parola di Gesù riceverà un ascolto unico, privilegiato rispetto alle tante parole che saranno loro rivolte.
Samuele, Andrea e il suo amico ci sollecitano a “non lasciare andare a vuoto” le parole che il Signore ci rivolge nel corso della vita, non solo quando ogni domenica ci raccogliamo insieme per celebrare la Pasqua di Gesù, ma anche quando nella vita incontriamo persone che, come l’anziano sacerdote Eli, ci aiutano a riconoscere tra le tante parole che udiamo, che ci interpellano, la parola del Signore, quella parola che è in grado, più di ogni altra parola, di illuminare il cammino della vita (come riconosce il salmista: «lampada per i miei passi è la tua parola, luce sul mio cammino», Sal 119,105) e che, come Giovanni Battista, ci segnalano Gesù come l’unico, tra le tante persone che affollano la nostra esistenza, in grado di ricondurci alla verità di noi stesi, di ricondurci alle questioni di fondo («Che cosa cerchi?») e di offrire una risposta convincente alla ricerca di un senso per la nostra esistenza.
Sappiamo per esperienza personale che non sempre siamo in grado di dare pieno e duraturo ascolto alle parole che il Signore in tanti modi e nelle diverse circostanze della vita ci rivolge; per questo abbiano chiesto al Signore nella preghiera della Colletta «fa che non lasciamo cadere a vuoto nessuna tua parola».