III domenica di Avvento (15 dicembre 2024)

Suscita sorpresa la qualifica della predicazione di Giovanni Battista come “buona notizia” da parte dell’evangelista Luca (cfr Vangelo Lc 3,10-18: «Giovanni evangelizzava il popolo»). La sorpresa è data dal fatto che la “buona notizia” predicata da Giovanni sembra contrastare col suo contenuto: «La scure è già posta alla radice degli alberi; ogni albero che non porta buon frutto, sarà tagliato e buttato nel fuoco». Analogo accenno lo troviamo più avanti, dove si parla di quello che farà il Messia («Egli ha in mano il ventilabro per ripulire la sua aia e per raccogliere il frumento nel granaio; ma la pula, la brucerà con fuoco inestinguibile»); con le sue richieste impegnative (cfr vv 11-14) e con i duri accenti delle parole del Battista («Razza di vipere, chi vi ha insegnato a sfuggire all’ira imminente?»). Può essere “buona notizia” quella che annuncia un giudizio severo, che non sembra lasciar scampo (cfr l’immagine della scure posta alla radice degli alberi e del fuoco che brucia la pula), che chiede di condividere generosamente i propri beni e di praticare senza reticenze la giustizia?

La sorpresa diventa ancora più grande di fronte all’insistente invito della liturgia di questa domenica a gioire. Il profeta Sofonia, nella prima Lettura (Sof 3,14-17): «Rallegrati, figlia di Sion, grida di gioia, Israele esulta e acclama con tutto il cuore figli di Gerusalemme!».

S.Paolo ai cristiani di Filippi: «Siate sempre lieti nel Signore, ve lo ripeto: siate lieti» (2 Lettura, Fil 4,4-7). Come è possibile gioire di fronte a questa notizia e data in questo modo?

Il contrasto che sorprende e, in qualche modo disturba, può essere salutare, perché segnala come la venuta del Signore è decisiva per la nostra vita; per questo, va in qualche modo preparata e ricorda come la preparazione riguarda il “fare” della libertà e non semplicemente il “sentire” di alcune emozioni che, nella vicinanza del Natale possono anche comparire nel cuore e darci l’illusione di una nostra disponibilità ad accogliere il Signore che viene.

Un fare quello indicato da Giovanni che fa riferimento a situazioni concrete, personali dell’esistenza.

A monte di questo fare sta una libertà che attende (“il popolo era in attesa”), che non è distratta da altro, ma interessata alla venuta del Messia; una libertà che s’interroga (“tutti si domandavano in cuor loro”), che non è superficiale, che si lascia interpellare dalla parola di Giovanni; una libertà che cerca, che interroga (“le folle interrogavano Giovanni”), che non è presuntuosa, non si muove da sola, in ascolto solo di se stessa.

Le risposte di Giovanni alla domanda che da più parti gli viene rivolta («Cosa dobbiamo fare?») disegnano la figura di una persona che si dispone ad accogliere il Messia e indicano un concreto percorso di conversione. Si tratta di una persona è solidale con chi non ha, che pratica la giustizia, rifiuta ogni violenza.

La solidarietà rende attenti al bisogno dell’altro, impegna a provvedere a questo bisogno e a condividere con lui ciò che si ha e ciò che si è. La condivisione libera dalla schiavitù delle cose che si posseggono. Un modo di praticare la giustizia è quello di non trattare gli altri come se ci dovessero qualcosa, fossero debitori di qualcosa nei nostri confronti. Rifiutare la violenza significa non solo non usare violenza fisica, ma anche (soprattutto) non abusare della propria posizione di forza, saper comprendere l’altro nella sua situazione di fragilità, di vulnerabilità, non farlo sentire a disagio, non metterlo in difficoltà, non circondarlo di indifferenza, disinteresse.

Quello che Giovanni indica come cammino di conversione, di disposizione nei confronti del Signore che viene è la cura della nostra umanità, perché diventi sempre di più un’umanità solidale, accogliente e capace di promuovere l’altro, la sua libertà, la sua vita: