Le due richieste, presentate nella preghiera della Colletta, al “Signore, nostro Dio”, il cui nome è santo, sono serie. La prima: “Piega i nostri cuori ai tuoi comandamenti”; la seconda: “donaci la sapienza della croce”. Unica resta la destinazione delle due richieste: “perché liberati dal peccato che ci chiude nel nostro egoismo, ci apriamo al dono dello Spirito, per diventare tempio vivo del tuo amore”.
L’egoismo è la grande seduzione che tenta gli umani, perché vuol farci credere che noi provvediamo in modo soddisfacente alla nostra esistenza (la salviamo) solo se ci preoccupiamo esclusivamente di noi stessi, se mettiamo in sicurezza noi stessi, se misuriamo tutto, relazioni, beni, scelte…, a partire dal beneficio che ne possiamo ricavare.
La seduzione dell’egoismo trova un grande alleato anzitutto i noi, nelle nostre paure di perdere la vita e nella clima culturale di questi tempi, dove in tanti modi siamo sollecitati a mettere in sicurezza noi stessi, prima di tutto e di tutti, dove molto in fretta s’identifica come “nemico”, pericolo, per la nostra vita chi chiede apertura, solidarietà e dove si rivendica un’attenzione ai cosiddetti “diritti individuali”, indistintamente, senza un previo discernimento sapienziale sulla loro effettiva capacità di garantire una buona qualità della vita.
Seduzione grande, ma anche piena di stoltezza, deludente, perché l’esito a cui ci consegna è la chiusura in noi stessi, la solitudine che non salva la vita, non la rende più bella e felice, perché inaridisce il cuore, corrompe le relazioni, anche quella fondamentale con Dio. Come denuncia Gesù con il gesto clamoroso della cacciata dal Tempio dei mercanti, che provvedevano la merce per i sacrifici a Dio: «non fate della casa del Padre mio un mercato!» (cfr vangelo Gv 2,13-25).
Le due richieste contrastano efficacemente la seduzione dell’egoismo, la prima (“piega i nostri cuori ai tuoi comandamenti”) perché riconosce i comandamenti, che il Dio liberatore affida al popolo d’Israele, ormai libero, come istruzioni per un cammino di libertà, perché la libertà ricevuta in dono non sia nuovamente persa; la seconda (“donaci la sapienza delle croce”) perché riconosce che sulla croce si compie l’esistenza di Gesù, il Figlio di Dio, che ha resistito alla seduzione dell’egoismo, come scrive Paolo nella lettera ai Filippesi («pur essendo nella condizione di Dio, non ritenne un privilegio l’essere come Dio», 3,6) e come Gesù stesso segnalò ai discepoli («Il Figlio dell’uomo non è venuto per farsi servire, ma per servire e dare la propria vita in riscatto per molti», Mc 10,45), che per questo non è rimasto per sempre prigioniero della solitudine della morte ed è diventato il “primogenito di quelli che risorgono dai morti (Col 1,18; cfr Ap 1,5), perché come lui hanno trascorso la propria esistenza nel dono di se stessi.
L’esito buono, non deludente è l’apertura “al dono dello Spirito”, perché lo Spirito contrasta efficacemente la seduzione dell’egoismo, smascherando il fallimento delle sue promesse (una vita piena e felice) e “riversando nel nostro cuore l’amore stesso di Dio” (cfr Rm 5,5). Un’azione quella dello Spirito che ci consente di “diventare tempio vivo” di questo stesso amore, luogo cioè dove l’amore di Dio si rende presente e opera.
Il frutto buono non è automatico, è “possibile” perché dipende da noi, dalla nostra disposizione, dal credito che rifiutiamo di dare alla seduzione dell’egoismo, per riservarlo al dono dello Spirito.
Quello della Quaresima è “tempo propizio” per “piegare il nostro cuore all’ascolto dei comandamenti (la Parola) di Dio”, per lasciarci guidare nelle scelte della vita dalla “la sapienza della croce” e per “aprirci al dono dello Spirito”, per essere testimoni (“tempio”) di un Dio che si prende cura delle persone.