Incontro con gli operatori della Caritas diocesana (2 ottobre 2020)

  1. Il principio ispiratore di ogni azione del cristiano

«Così risplenda la vostra luce davanti agli uomini, perché vedano le vostre opere buone e rendano gloria al Padre vostro che è nei cieli» (Mt 5,16).

Il cristiano è sollecitato ad agire, a compiere “opere buone”, non per “farsi pubblicità” né per una gratificazione personale, ma per “fare pubblicità” a un altro, per promuovere la figura di un altro, la figura di un Dio che, proprio grazie alle “opere buone” compiute dai discepoli di Gesù, può essere riconosciuto come un Padre affidabile.

  1. Quali sono le “opere buone” che parlano di Dio, che suscitano ammirazione e fiducia nei suoi confronti?

Cfr il riferimento all’azione di Gesù in Lc 5,17-26. L’evangelista, dopo aver raccontato della guarigione di un paralitico, annota: «Tutti furono colti da stupore e davano gloria a Dio; pieni di timore dicevano: “Oggi abbiamo visto cose prodigiose”».

Perché la gente guardando alle azioni di Gesù “dà gloria a Dio”? Perché Gesù non agisce per iniziativa propria, in autonomia, ma in ascolto del Padre, su mandato del Padre (Gv 5,19: «In verità, in verità io vi dico: il Figlio da se stesso non può fare nulla, se non ciò che vede fare dal Padre; quello che egli fa, anche il Figlio lo fa allo stesso modo»; 8,28: «Quando avrete innalzato il Figlio dell’uomo, allora conoscerete che Io sono e che non faccio nulla da me stesso, ma parlo come il Padre mi ha insegnato»). Gesù non è un “battitore libero” della carità.

Cfr testi che dopo aver descritto la vita della comunità di Gerusalemme, il clima di comunione e di solidarietà tra le persone di quella comunità (At 2,42-47; 4,32-35; 5,12-16), segnalano e l’apprezzamento della gente.

Una conclusione: le “opere buone” che parlano di Dio, che lo rivelano come Padre che ha a cuore la vita delle persone, sono quelle ispirate da un amore (carità) che crea legami buoni, comunione e che si fa carico delle difficoltà, dei bisogni delle persone, in particolare dei più poveri.

  1. Le ricadute sull’azione degli operatori della Caritas
  • La consapevolezza di non agire per iniziativa propria, in autonomia, ma di essere “mandati”.

«la Chiesa non è un negozio, non è un’agenzia umanitaria, la Chiesa non è una ONG, la Chiesa è mandata a portare a tutti Cristo e il suo Vangelo; non porta se stessa – se piccola, se grande, se forte, se debole, la Chiesa porta Gesù… deve portare la carità di Gesù» (Papa Francesco).

La Caritas porta l’amore di Gesù operando a favore di chi è ferito dalla vita, giace ai margini della strada (cfr Lc 10,29-37, la parabola del buon Samaritano).

Lo porta per sollecitazione di Gesù e mandato della Chiesa (cfr At 6,1-7, l’elezione dei Diaconi).

  • L’assunzione di uno stile. Portare l’amore di Gesù non è solo compiere opere di aiuto, di assistenza, di soccorso, ma anche compierle secondo lo stile di Gesù, accostare le persone come le accostava Lui.
  • La cura della relazione con Gesù (stare con lui, perché la nostra azione caritativa porti il suo amore, parli di un Dio che è Padre), con la Chiesa (quella diocesana, le comunità parrocchiali) e delle relazioni con le persone, del modo con cui ci rapportiamo a chi ha bisogno di un aiuto (cfr Fil 1,9-10: «E perciò prego che la vostra carità cresca sempre più in conoscenza e in pieno discernimento, perché possiate distinguere ciò che è meglio…»): l’amore, parametro fondamentale che consente di conoscere la sofferenza delle persone e d’individuare [discernere] le modalità più adeguate per soccorrerle.
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