Le parole del profeta Ezechiele e quelle di Gesù hanno i toni della polemica. Attraverso il profeta ( Ez 18,25-28) Dio si difende dall’accusa di non agire rettamente. Non è un’accusa di poco conto, perché se anche Dio non agisce con giustizia… Dio ribalta l’accusa, attribuendo al comportamento di chi lo accusa (Israele) la responsabilità di quanto accade.
La parola di Gesù (Mt 21,28-32) è polemica nei confronti dei “capi dei sacerdoti” e degli “anziani del popolo”. Messi a confronto con una categoria di persone (i pubblicani e le prostitute) che non godevano di alcuna stima per il loro stile di vita, per i loro comportamenti, perdono il confronto perché il loro atteggiamento nei confronti di Giovanni Battista e del suo insistente invito a cambiare vita coincide con il comportamento di uno dei figli della parabola, il quale alle parole di disponibilità (“Si, signore”) nei confronti della disposizione del padre (“Va oggi a lavorare nella vigna”) non fa seguire i fatti (“Ma non vi andò”). Dal confronto escono bene invece i pubblicani e le prostitute, perché hanno aderito all’invito di Giovanni. Per questo Gesù li identifica con l’altro figlio della parabola, il quale riconsidera l’iniziale indisponibilità a eseguire il comando del padre (“Non ne ho voglia”) e lo esegue (“Ma poi si pentì e vi andò”).
L’invito di Gesù è chiaro: la nostra disponibilità ad ascoltare il Signore, a compiere la sua volontà non può essere solo proclamata, ma deve esprimersi in fatti concreti.
La parola di Paolo nella seconda lettura (Fil 2,1-11) indica quali sono i fatti concreti che documentano la nostra reale obbedienza alla disposizione di Dio: un’effettiva pratica della carità che riguarda il nostro agire (“ciascuno di voi non cerchi l’interesse proprio, ma anche quello degli altri”), l’intenzione che muove il nostro agire (“non fate nulla per rivalità o vanagloria”), la considerazione degli altri (“ciascuno di voi, con tutta umiltà, consideri gli altri superiori a se stesso”).
Per Paolo questo è possibile se coltiviamo in noi gli stessi “sentimenti” di Gesù, il quale non ha cercato esclusivamente il proprio interesse (“non ritenne un privilegio l’essere come Dio”), non si è messo su un piedestallo (“svuotò se stesso”), non si è imposto agli altri (“assumendo la condizione di servo…”), né ha solo dichiarato la sua disponibilità ad obbedire (“facendosi obbediente fino alla morte”). A conclusione di questo percorso Gesù trova il riconoscimento di Dio («gli ha donato un nome che è al di sopra di ogni nome… e ogni lingua proclami: “Gesù è il Signore”»: la reintegrazione e il riconoscimento del suo “essere come Dio”).
In questa domenica don Aldo inizia il suo servizio pastorale nella parrocchia della Cattedrale. Oltre che della Cattedrale sarà pastore anche delle parrocchie delle Grazie e di S. Martino. Sarà coadiuvato in questo servizio dal diacono Andrea Falcinelli e da don Andreé, un sacerdote, proveniente dalla terra africana, che sta completando i suoi studi a Roma.
In una parrocchia il pastore fa tante cose, spesso anche molto diverse tra loro, tutte però che dovrebbero trovare unità nel desiderio e impegno del pastore a guidare la propria comunità all’obbedienza della fede. Di questi tempi parlare di obbedienza non è facile, perché c’è il sospetto che l’obbedienza mortifichi la propria libertà e perché si temono prevaricazioni da parte di chi chiede la richiede.
L’obbedienza della fede ci libera dal sospetto e dal timore, perché è un’obbedienza che non è suggerita dal timore né compromessa dal fastidio o dall’interesse, ma ispirata da una libertà che si consegna con fiducia al Signore e dà concreta esecuzione alle sue disposizioni.
Alla luce delle parole dell’apostolo Paolo l’obbedienza della fede si traduce ancora più concretamente nell’imitazione di Gesù, del suo percorso, un’imitazione che inizia con il coltivare il suo stesso “sentire” e che prosegue nel percorrere il suo cammino, quello di un’esistenza che non si tiene per sé, che non cerca esclusivamente il proprio interesse, ma che si dona, che costruisce relazioni serene, libere dalla competizione, alimentate dalla stima reciproca. Anche per noi a conclusione di questo percorso sta la partecipazione al riconoscimento di Gesù da parte di Dio Padre (la piena libertà della risurrezione).
L’augurio che rivolgiamo a don Aldo e ai suoi collaboratori, accompagnato dalla preghiera è che il loro servizio nelle comunità della Cattedrale, delle Grazie e di S. Martino, conduca le persone a quell’obbedienza della fede, sull’esempio di Gesù, perché possano sperimentare come Gesù la libertà piena.