La richiesta che abbiamo rivolto a “Dio nostro Padre” nella preghiera della Colletta («concedi al popolo cristiano di iniziare con questo digiuno un cammino di vera conversione») potrebbe generare il malinteso che la conversione sia l’impegno della sola Quaresima. In realtà la conversione è (dovrebbe essere) l’impegno, la tensione, che caratterizza il cammino dei credenti nell’intero anno liturgico. Questo perché la conversione è la chiara richiesta che Gesù fa all’inizio del suo ministero, quando proclama che: «Il tempo è compiuto e il regno di Dio è vicino: convertitevi e credete al vangelo» (Mc 1,15).
La richiesta della conversione è motivata da Gesù con la presenza del Regno di Dio (la Signoria regale di Dio che si avvicina agli uomini per liberarli dal male che avvilisce la loro esistenza) e collegata alla fede, al credito dato alla bella notizia (il vangelo) data da Gesù. Per Gesù la conversione si esprime nella fede, nel dare ascolto e credito a lui.
Proprio perché appartiene al nostro cammino di credenti, proprio perché è espressione della nostra fede, il “cammino di vera conversione” più che iniziare da capo andrebbe proseguito, intensificato e precisato. A meno che riconosciamo che questo cammino di fatto lo abbiamo interrotto e che, per questo, andrebbe ripreso.
Il malinteso può essere superato se all’inizio del tempo quaresimale ci interroghiamo riguardo alla consistenza della nostra fede (se è in grado di incidere sulla conduzione della nostra esistenza), alla serietà del nostro cammino di conversione di credenti.
I testi della parola di Dio, appena proclamati, ci aiutano a dare concretezza al cammino di un’autentica conversione.
Il profeta Gioele nella prima lettura (Gl 12,12-18) si fa portavoce del Signore che sollecita a “ritornare a lui con tutto il cuore” e indica una buona ragione per questo ritorno: il Signore «è misericordioso e pietoso, lento all’ira, di grande amore, pronto a ravvedersi riguardo al male… si muove a compassione del suo popolo».
L’apostolo Paolo, nella seconda lettura, (2Cor 5,20-6,2), in sintonia con il profeta Gioele, “ci supplica a lascarci riconciliare con Dio” a “non accogliere invano la grazia di Dio”. A monte dell’offerta della sua grazia sta il desiderio di Dio di riallacciare l’alleanza con noi (“riconciliarci con lui”). A garanzia della serietà e della determinazione del desiderio di Dio, sta il gesto “scandaloso” compiuto da Lui nei confronti di Gesù, suo Figlio («Colui [Gesù, il Figlio] che non aveva conosciuto peccato [personalmente fedele ed estraneo al peccato], Dio lo fece peccato [solidale con gli uomini peccatori], in nostro favore, perché in lui [grazie a lui] noi [che abbiamo acconsentito al peccato] potessimo diventare giustizia di Dio [fossimo accolti quali alleati di Dio]»). Per rendere ancora più convincente l’esortazione Paolo parla di un “momento favorevole”, di un giorno della salvezza nel quale il Signore ci soccorre”, non rinviandoli al futuro, ma segnalandoli attuali, alla nostra portata («Ecco ora il momento favorevole, ecco ora il giorno della salvezza»).
La Quaresima che iniziamo, anche con il gesto significativo dell’imposizione delle ceneri, accompagnato dalle parole di Gesù («Convertitevi e credete al vangelo»), è il “momento favorevole” per lasciarci riconciliare con Dio, per accogliere la sua grazia.
Nel vangelo (Mt 6,1-6.16-18) Gesù chiarisce come praticare il digiuno, la preghiera e l’elemosina, i gesti proposti per il cammino quaresimale. Più che offrire indicazioni concrete, Gesù indica con quale atteggiamento interiore praticare questi gesti: non cercando il riconoscimento, l’ammirazione da parte degli altri (tentazione a cui siamo sempre esposti), ma avendo cura della nostra relazione con Dio Padre.
Gesù ci dice che a dare valore e garantire frutto al nostro digiuno, alla nostra preghiera e alla nostra elemosina non è il riconoscimento, la gratificazione da parte degli altri, ma il riconoscimento del Padre, la sua “ricompensa”: la pace del cuore nel sentirsi amati da Lui e una libertà sempre più ampia nel compiere la sua volontà.
Anche papa Francesco, nel suo messaggio per la Quaresima (“Quaresima: tempo per rinnovare fede, speranza e carità”) parla del digiuno, della preghiera e dell’elemosina e li indica come “le condizioni e l’espressione della nostra conversione”, perché «ci permettono di incarnare una fede sincera, una speranza via e una carità operosa», quelle virtù che ricevute in dono da Dio, conferiscono alla nostra esistenza la forma di un’esistenza credente.