Messa Crismale (29 marzo 2018)

Il salmo responsoriale di questa celebrazione parla di Davide. Davide viene cercato e trovato dal Signore, grazie al profeta Samuele. Il Signore lo ha scelto per un compito grande, guidare il popolo d’ Israele, non sulla base di quello che considerano normalmente gli uomini (l’apparenza. Nella considerazione di suo padre Davide era solo un ragazzino, impegnato a pascolare il gregge di famiglia), ma su quanto portava in cuore, perché il Signore aveva osservato e continua a osservare il cuore di una persona. Il Signore, poi, ha sempre accompagnato Davide nella sua esistenza e nell’esercizio del suo compito di re, come recita il salmo, “con il suo braccio” e “il suo amore”; non lo ha mai abbandonato, nemmeno quando Davide ha tradito la sua fiducia.

Anche Gesù, come abbiamo ascoltato dal vangelo di luca, ha ricevuto dal Padre un compito grande: “portare il lieto annunzio” della liberazione ai tanti prigionieri della povertà, della malattia, delle diverse oppressioni. Per questo anche lui è stato “consacrato con l’unzione” da parte dello Spirito («lo Spirito del Signore è sopra di me; per questo mi ha consacrato con l’unzione e mi ha mandato”)

Anche noi siamo stati cercati dal Signore, non in ragione di quanto appariva all’esterno della nostra persona, nemmeno in ragione dell’apprezzamento degli altri, ma di quanto il Signore ha intravisto nel nostro cuore; ci ha trovato e ci ha invitato a seguirlo perché Lui conosce bene il nostro cuore.

Anche noi come Davide “siamo stati consacrati con il santo olio” e, addirittura, più fortunati di Davide, “partecipiamo alla consacrazione di Gesù”, il Figlio, “con l’unzione dello Spirito Santo” (come abbiamo pregato nella Colletta della Messa).

La partecipazione alla consacrazione di Gesù ci mette nella condizione di condividere il suo ministero, che, come segnala il testo del profeta Isaia, ripreso da Gesù stesso nella sinagoga di Nazareth, si è occupato delle persone ferite nella vita, quelle che non erano in condizione di apprezzare la vita e di alimentare una speranza forte per il proprio futuro.

Un giorno il Signore Gesù ci ha proposto questa condivisione e noi abbiamo aderito alla sua proposta; anche oggi ci chiede di rinnovare la nostra adesione a quella proposta.

Come ci poniamo oggi di fronte a questa richiesta?

La richiesta di Gesù non è una formalità, non lo è per lui, che conosce il nostro cuore, né dovrebbe essere la nostra risposta.

Quella di Gesù resta una richiesta che ci dà fiducia e coraggio, perché consente di tenere lontano dall’esercizio del nostro ministero due tentazioni, diverse tra loro, ma “speculari”, perché si alimentano alla stessa fonte, quella della dimenticanza dello sguardo del Signore su di noi, nel nostro cuore; del suo invito a condividere la sua passione per le persone, soprattutto per quelle che arrancano nella vita.

La prima tentazione è quella di lasciare spazio alla stanchezza e alla delusione per un ministero che deve fare i conti con una realtà sempre più complessa e con persone che nella cura della propria esistenza sembrano più interessate ad altro rispetto al Vangelo di Gesù; un ministero che porta le ferite di incomprensioni, di difficoltà nelle relazioni, di proprie fragilità e forse anche di qualche fallimento. Cedere a questa tentazione porta a “tirare i remi in barca”, a non prendere più il largo, a ritenere che quanto potevamo dare già l’abbiamo offerto, a chiuderci a nuove sollecitazioni o proposte da parte della gente, della chiesa diocesana.

La seconda tentazione è alimentata dalla presunzione di cavarcela da soli nel ministero, di poter procedere contando prevalentemente, se non esclusivamente, sulle risorse della nostra sapienza, sul nostro modo di vedere le cose, le persone, lo stesso ministero. Cedere a questa tentazione porta a non privilegiare il rapporto con il Signore rispetto al fare del ministero, a far prevalere nel ministero i propri percorsi individuali rispetto a quelli di un ministero condiviso, con i confratelli, in Diocesi, nelle Vicarie e nelle zone pastorali.

Rispondere ancora una volta, con il personale “prometto” alla richiesta del Signore potrebbe volere dire tenere distante dal nostro ministero quelle tentazioni che lo sviliscono, lo impoveriscono ai nostri occhi e agli occhi della gente, alla quale il Signore ci ha mandato per annunciare la “buona notizia” del Vangelo che salva, a motivo del quale continuiamo a “partecipare alla sua consacrazione”.

Mentre vi esprimo la mia personale gratitudine e quella della nostra chiesa di Senigallia per il vostro sevizio di pastori, prego il Signore per ciascuno di voi, perché non venga mai meno lo stupore e la gratitudine per essere stati cercati da lui e chiamati a condividere il suo ministero e perché sappiamo ogni giorno rendere ragione della speranza che portiamo nel cuore, con un ministero sereno, generoso e fiducioso nello sguardo del Signore, che è grazia.