Messa Crismale (Giovedì Santo 18 aprile 2019)

La concelebrazione nel Giovedì santo del Vescovo con i presbiteri di una chiesa diocesana esprime in modo significativo l’origine e la destinazione del nostro ministero. Dice che all’origine del ministero non c’è una nostro decisione, un nostro progetto su come organizzare la vita, ma sta il dono di Dio, l’offerta di Gesù.

La colletta della Messa crismale ci ha ricordato, al riguardo, che noi “partecipiamo alla consacrazione” dell’unico Figlio di Dio, una consacrazione che, come segnala il profeta Isaia nella prima Lettura (61,1-3a.6a. 8b-9), non lo separa, non lo isola, dalla gente, anzi lo “manda” da quelle persone che hanno bisogno di un lieto annuncio, che hanno il cuore spezzato dalla sofferenza, che hanno perso la libertà, che sono afflitte, per offrire loro una speranza per la propria vita.

Il testo del profeta Isaia Gesù lo leggerà un giorno nella Sinagoga di Nazareth, all’inizio del suo ministero, come ci ha raccontato l’evangelista Luca nel Vangelo della celebrazione, un testo che Gesù riconoscerà ispiratore della sua azione (“Oggi si è compiuta questa Scrittura che voi avete ascoltato”, dirà a commento).

La Colletta ci ha ricordato anche che la destinazione del ministero non è la promozione della nostra persona, né l’esibizione delle nostre abilità e qualità, ma la “testimonianza nel mondo (cioè nella vita delle persone) dell’opera di salvezza di Dio”. E l’opera di salvezza di Dio per la quale siamo destinati, addirittura “consacrati”, riguarda, come ci ricorda ancora il testo del profeta Isaia, i miseri, le persone dal cuore spezzato, le persone che in tanti modi hanno perso la libertà, gli afflitti dalla vita che sono sempre di più.

All’origine del nostro ministero sta lo sguardo di Gesù su di noi, lo stesso sguardo rivolto da lui ai 4 pescatori mentre erano al lavoro sulla rive del lago (cfr Mc 1,16-20), lo stesso sguardo pieno di amore “fissato” su quella persona che desiderava sapere da lui cosa fare della propria vita (cfr Mc 10,17-22); sta, inoltre, l’invito di Gesù ripetuto a Pietro, a distanza di anni (“Seguimi”, Gv 21,19), dopo che l’Apostolo, qualche giorno prima, aveva “imprecato e giurato” di non conoscerlo (cfr Mc 14,71).

Ricordare queste origini del nostro ministero non può che darci serenità e fiducia, ci consente di non restare bloccati dalle fatiche, di non abbatterci per le sconfitte né di rassegnarci di fronte alle nostre fragilità e stanchezze. Anche a noi Gesù ripete l’invito che ci ha rivolto un giorno, magari tanti anni fa: “Seguimi!”.

Ricordare poi che noi siamo stati “consacrati”, cioè abilitati, messi nelle condizioni di condividere lo stesso ministero di Gesù, la sua passione per la gente, soprattutto per le persone che arrancano nella vita, ci può garantire la libertà dalla tentazione di ritagliare il ministero su di noi, a nostra misura, dove la domanda di Pietro a Gesù (“Ecco noi abbiamo lasciato tutto e ti abbiamo seguito; che cosa dunque ne avremo (in cambio)?”, Mt 19,27) può insinuarsi e diventare anche da parte nostra la richiesta di avere in cambio qualcosa che ci ripaghi per il servizio o addirittura suggerire che siamo noi a decidere che cosa ci può risarcire per il servizio, soprattutto quando questo appare faticoso o deludente.

La grazia del ministero, se assecondata, corrisposta, ci dona lo stesso “cuore” di Gesù, un cuore ospitale nei confronti delle persone, un cuore che incoraggia, rasserena, impegna anche in percorsi esigenti, che non viene meno nelle difficoltà e nelle sconfitte.

Tra poco dichiareremo la nostra volontà di rinnovare ancora una volta gli impegni con i quali, nel giorno della nostra ordinazione, abbiamo accolto l’invito di Gesù a seguirlo, a diventare “pescatori di uomini”. Ognuno di noi li ripeterà al singolare (“Sì, lo voglio”). Chiedo al Signore che nessuno li confermi con rammarico, né con un velo di tristezza o di delusione, ma con la serenità di chi si sente amato dal Signore e sa che può sempre contare su questo amore, di chi desidera essere “testimone nel mondo della salvezza di Dio”, del suo amore.

“Sì, lo voglio”, lo ripeteremo insieme, perché il ministero al quale il Signore ci chiama lo svolgiamo non privatamente, in ordine sparso, ma insieme, in un presbiterio, dove siamo invitati a    coltivare fiducia e stima reciproca, ad accoglierci nelle nostre singolarità e a condividere in un percorso comune l’azione pastorale. Chiedo al Signore che il presbiterio della chiesa di Senigallia sia sempre più il luogo dove si sperimenta “come è bello e come è dolce che i fratelli vivano insieme” (Sal. 133), dove ci si stima e ci si accoglie con pazienza a libertà e dove insieme ci si prende cura delle persone che il Signore ci affida.

Spero che accanto alla stima e all’affetto che il Signore ha per ciascuno di voi sia riconoscibile anche la stima e l’affetto, miei e delle persone alle quali il Signore vi ha mandati come testimoni del suo amore per loro.