Messa del giorno di Pasqua (16 aprile 2017)

“O Padre, che in questo giorno, per mezzo del tuo unico Figlio, hai vinto la morte e ci hai aperto un passaggio alla vita eterna…”.

Quella evocata dalla preghiera, “aprire un passaggio”, in questi ultimi tempi, nella nostra terra marchigiana è un’immagine ricorrente, in riferimento al terremoto che ha provocato crolli di edifici, con la conseguente ostruzione delle vie di comunicazione. Da qui la necessità d’intervenire, anzitutto per aprire dei passaggi. Il terremoto non ha provocato solo il crollo di edifici, ma anche e soprattutto il crollo delle sicurezze, garantire dalle proprie case, dal lavoro, dai luoghi degli incontri…. Un crollo questo, che, al pari dell’altro – quello degli edifici – ha provocato una sorta di ostruzione nel percorso della speranza, che rappresenta bene il percorso della vita, perché se è vero che finché c’è vita c’è speranza, è altrettanto vero che finché si ha una speranza si è in grado di provvedere bene alla propria vita. Da qui la necessità di riaprire il cammino della speranza.

Il riferimento ai disastri del terremoto mi pare appropriato per comprendere del vangelo appena letto. La morte di Gesù aveva provocato un terremoto nella vita dei discepoli, dagli effetti devastanti: la paura che li porta a chiudersi in casa, la perdita della speranza (“Noi speravamo che egli fosse colui che avrebbe liberato Israele”); l’incapacità di riconoscere Gesù quando si accosta a loro. Quella dei discepoli dopo la morte di Gesù è diventata un’esistenza dove il cammino della speranza è ostruito, impedito.

Gesù Risorto incontra i due discepoli viandanti in questa situazione e con pazienza riapre un passaggio alla speranza. Lo fa anzitutto correggendo la lettura riduttiva di lui e della sua vicenda Per i discepoli Gesù è solo un “profeta”, potente in opere e parole, ma solo un profeta sul quale, una volta che è stato tolto di mezzo (come succede ai profeti scomodi), non si possono più investire le proprie attese.

Della sua vicenda viene fatta una cronaca puntuale, ma dalla quale non emerge nessuna “buona notizia”. Per questo la cronaca non può che concludersi con l’amara affermazione: «Ma lui non l’hanno visto».

I discepoli sono avvicinati da Gesù, il quale spiega delle Scritture e spezza il pane. E la situazione dei discepoli cambia. L’evangelista Luca indica i segnali del cambiamento: Gesù non è più il viandante sconosciuto, lo straniero, ma il Signore. Il riconoscimento dei discepoli non riguarda solo l’identità di Gesù, ma anche la comprensione della sua vicenda, che ai discepoli non appare più deludente, ma capace di dare speranza.

«Non ardeva forse il cuore nel petto mentre conversava con noi lungo il cammino, quando ci spiegava le Scritture?». I discepoli riconoscono che il loro “cuore” è stato profondamente segnato dall’ascolto della parola di quello sconosciuto. Il loro non è più un cuore abitato da una speranza delusa, ma è un cuore vivace, in grado di sperare nuovamente. Da qui la decisione: «Partirono senza indugio e fecero ritorno a Gerusalemme». Il senso del cammino dei discepoli si capovolge: all’inizio risultava una fuga, alla fine un ritorno. Un ritorno con la premura di raccontare quanto è accaduto, segno di una speranza rinata, perché ha riconosciuto in Gesù, il crocifisso risorto.

Possiamo trovarci anche noi nella stessa situazione dei due discepoli: dover ammettere che “speravamo che il Signore avrebbe dato alla nostra vita una speranza grande e forte, resistente alle prove, che ci avrebbe risparmiato da situazioni troppo impegnative e dolorose, ma non è accaduto così”

Quando ci troviamo in tale stato non siamo più in grado di riconoscere il Signore risorto che cammina con noi, non siamo capaci di cogliere i segni della sua presenza e ci sembra di essere rimasti soli a provvedere alla vita, senza più speranza.

Gesù, con la sua parola, ci raggiunge per via, cammina con noi; arriva senza che ce l’aspettiamo, in modi misteriosi e spesso sorprendenti, c’interpella, corregge le nostre letture parziali della vita, del Signore, della sua azione. In questo modo riapre il passaggio alla speranza, per la vita che trascorriamo in questo mondo e per quella che ci attende in futuro, quella che non ha giorni che scorrono.

Non sarebbe da poco se, nel desiderio di mantenere aperto il cammino della speranza, imparassimo a dare maggiore ascolto alla testimonianza delle Scritture e consentissimo più frequentemente al Risorto di restare con noi e di spezzare il pane del suo corpo dato per noi.