La Messa che stiamo celebrando, l’ultima di quest’anno, vuole essere una Messa di ringraziamento. Al termine della celebrazione con il canto del Te Deum diremo il nostro grazie a Dio Padre, Figlio e Spirito Santo. Il nostro ringraziamento corre il rischio di essere una “finzione”, un gesto, cioè, che sentiamo più imposto dal calendario (l’ultimo giorno dell’anno) che suggerito da quanto è accaduto nell’anno che si chiude. Quanto è accaduto nell’anno trascorso, più che un ringraziamento sembra suggerire altro: il lamento per una situazione molto critica, dolorosa, che pensavamo (speravamo) di lasciare alle spalle in fretta; la recriminazione per la tante rinunce a cui la pandemia ci ha costretti, con pesanti ricadute negative in campo sociale, economico, anche sulla pratica della fede; il risentimento verso chi si ostina a non assumere comportamenti responsabili.
Se questo è il nostro stato d’animo dobbiamo rassegnarci alla finzione di un ringraziamento del quale fatichiamo a trovare le ragioni che lo giustificano, che lo sollecitano?
La parola di Dio, appena proclamata consente al nostro rendimento di grazie a Dio di non essere una finzione.
L’apostolo Paolo nella sua lettera ai Galati, proclamata dalla seconda Lettura (Gal 4,4-7) scrive che il Figlio di Dio entra nel tempo degli uomini, nasce, come ogni figlio d’uomo (“nato da donna”), soggetto, come gli appartenenti al suo stesso popolo, alle ferree prescrizioni della Legge (“nato sotto la Legge”), con un mandato preciso da parte del Padre: “riscattare quelli che erano sotto la Legge, perché ricevessimo l’adozione a figli”. Il “riscatto” (la liberazione) operato da Gesù non è stato quello di sostituire una Legge liberticida con una Legge più liberale, ma quello di offrire una condizione di vita inedita, radicalmente nuova: grazie a lui agli uomini è possibile vivere nel mondo, in ogni tempo e in ogni condizione di vita, da figli di Dio e non più da schiavi. I figli di Dio, sanno di poter contare su Qualcuno – il Padre di Gesù -, che si prende cura di loro, a differenza degli schiavi non hanno nessuno su cui poter contare, nemmeno su se stessi.
Nel tempo in cui il Figlio di Dio è venuto al mondo erano i potenti che riducevano in schiavitù le persone; in questi tempi è un microscopico virus a tenere in scacco la nostra esistenza, riducendo gli spazi della nostra libertà, non solo perché limita gli spostamenti, i gesti che alimentano le relazioni, ma anche perché ci consegna alla paura di perdere la salute, il lavoro, le persone amate e perché sta avvelenando le nostre comunicazioni.
Quella che si è abbattuta sulla nostra vita è come una tempesta che «smaschera la nostra vulnerabilità e lascia scoperte le nostre false e superficiali sicurezze con cui abbiamo costruito le nostre agende, i nostri progetti, le nostre abitudini e priorità» (papa Francesco).
Il Figlio di Dio da quando è entrato nel tempo degli uomini non lo ha più lasciato, ma continua ad abitarlo e prosegue nell’azione di riscatto dalle tante schiavitù che spesso costruiamo con le nostre mani, con la presunzione di essere noi in grado, con l’esclusiva nostra sapienza, di costruire un’esistenza all’altezza dell’apprezzamento che merita, quello di un’esistenza compiuta, veramente libera e non consegnata ai potenti di turno, molto più scaltri dei potenti del tempo di Gesù, perché ci inducono a ritenerli gli unici garanti della nostra libertà.
Anche l’anno che si sta concludendo è stato un tempo abitato dal Figlio di Dio, anche nei giorni del 2021, i giorni che abbiamo vissuto cercando di contrastare un virus che attentava alla nostra esistenza, il Figlio di Dio ci ha offerto il riscatto dalle nostre schiavitù, ci ha invitato a non avere paura, come ha fatto una notte di tanti anni fa con i discepoli impauriti perché la loro barca stava per essere travolta dal vento e dalle onde del lago.
Se saremo in grado di riconoscere nei giorni trascorsi i segni della presenza del Figlio di Dio, della sua azione di redentore, il nostro ringraziamento non risulterà una finzione.