Messa di ringraziamento (31 dicembre 2023)

Tra poche ore inizieremo un nuovo anno. Quando si inizia qualcosa di nuovo si alimentano tante attese, tante speranze, a partire da quanto è successo precedentemente. Siamo qui per celebrare l’Eucaristia, che è  “rendimento di grazie”, alla quale aggiungeremo un canto di lode al Signore, il Te Deum laudamus.

Perché il nostro ringraziamento non sia un gesto formale, come succede in tanti ringraziamenti nella vita, ci chiediamo se abbiamo qualche motivo per lodare Dio, per ringraziarlo, personalmente e come comunità. A sollecitare questa domanda sono anche gli avvenimenti sconcertanti di questi tempi: le guerre, le violenze contro le persone, le incertezze sul futuro dell’umanità…

Ci sta davanti un nuovo anno, 366 giorni, dei quali non sappiamo poco o nulla, non sappiamo se saranno giorni felici o tristi, giorni che ci riserveranno belle sorprese e dolorose delusioni, se realizzeremo i nostri sogni o meno. Per questo ci faremo gli auguri. Gli auguri sono importanti perché ci ricordano che quanto ci sta a cuore non è scontato, che lo possiamo solo attendere.

Se non sappiamo nulla dei 366 giorni che ci stanno di fronte, conosciamo però qualcosa di decisivo per ringraziare il Signore per l’anno trascorso e per vivere bene, con serenità, i giorni del prossimo anno. Sappiamo che siamo delle persone amate, che la nostra vita è avvolta dalla benedizione di Dio. E’ la parola di Dio che abbiamo appena ascoltato a dirci questo.

La prima lettura (Num 6,22-27) riporta la benedizione che i sacerdoti offrivano ai pellegrini che giungevano al Tempio. Il salmo responsoriale (Sal 66) ci ha indicato la benedizione come richiesta da fare al Dio.

L’apostolo Paolo ci ha ricordato (Gal 4,4-7) che noi non siamo più schiavi, ma figli, perché possiamo chiamare Dio con lo stesso nome con cui lo chiamava e continua a chiamarlo Gesù – Abbà, papà, babbo. Possiamo fare questo perché il Figlio di Dio è venuto a insegnarci a guardare a Dio non come uno schiavo guarda al suo padrone, ma come Lui, il Figlio, guarda al suo Papà. E perché non dimenticassimo di essere amati come figli e non dimenticassimo di chiamare Dio con il nome giusto, ci ha lasciato un regalo, una persona – lo Spirito Santo – il quale dal giorno del nostro battesimo ci ricorda tutto questo.

Come vivere allora questi giorni, di cui non sappiamo nulla in anticipo?

Il vangelo (Lc 2,16-21) ci presenta i pastori che vanno alla ricerca di un bambino che, secondo le parole dell’angelo, rappresenta una speranza per la loro vita (“è nato per voi un Salvatore”), che riconoscono in quel bambino che non mostra alcun segno di regalità e di potenza, il Salvatore e lodano Dio; ci parla di Maria, che “custodiva tutte queste cose, meditandole nel suo cuore”. Quali sono le cose che Maria trattiene (“custodisce”) nel cuore e le gira e rigira (“medita”)? Sono le circostanze in cui ha generato il proprio figlio, circostanze che sembrano gettare un ombra su quanto è accaduto. Maria sa che il bambino che ha generato è il Figlio di Dio, ma sa anche di averlo partorito in luogo dove nessuna mamma avrebbe partorito il proprio figlio; sa che a quel bambino è stato assegnato un nome significativo – Gesù, che indica un compito decisivo per il suo popolo – salvarlo dai suoi peccati – e sono appena giunti alcuni pastori, che non sono certamente i rappresentanti più significativi del popolo d’Israele. Maria non rimuove queste cose per nulla esaltanti, ma le osserva con pazienza, da credente, fiduciosa di venirne a capo, di ritrovarvi la trama del disegno buono di Dio.

Impariamo dai pastori a riconoscere nei segni più piccoli e fragili la presenza di Dio nella storia degli uomini, anche nella storia di questi tempi che mette paura e sembra impedire uno sguardo sereno sul nostro futuro e nella nostra vita, anche quando viene in tanti modi ferita. Impariamo da Maria a custodire nel cuore, anche nelle situazioni delle vita più difficili e sofferte, questa presenza di Dio portatrice di bene, che è Gesù, il Salvatore della nostra speranza.

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