Messa per le vittime di Corinaldo (8 dicembre 2019)

Oggi in diversi luoghi del nostro territorio “si ricorda” quella che è ormai considerata la tragedia della Lanterna Azzurra di Corinaldo, con il suo carico di morte (5 adolescenti e una giovane mamma) e di indicibile sofferenza che ha prodotto e che continua a produrre. Il calendario ci dice che è passato un anno da quel tagico avvenimento, non è però in grado di dirci nulla della sofferenza di tante persone che, anche a distanza di tempo, continua ad segnare la loro vita.

Questa mattina, qui nella casa del Signore, ricordiamo le vittime della Lanterna Azzurra, pregando, celebrando l’Eucaristia. Perché preghiamo, perché celebriamo l’Eucaristia, pur sapendo che nemmeno la preghiera può restituirci Asia, Benedetta, Daniele, Eleonora, Emma e Mattia?

La nostra non è la domanda degli increduli che lanciano una sfida alla fede, che ritengono che non c’è alcun Dio su cui poter contare, nemmeno quando la morte irrompe nella nostra esistenza e la ferisce profondamente. La nostra è la domanda di chi si fida di Dio, di quel Dio di cui ci ha parlato Gesù, di chi si fida delle parole dello stesso Gesù («Io sono la risurrezione e la vita; chi crede in me, anche se muore, vivrà; chiunque vive e crede in me, non morirà in eterno», Gv 11,16-27). Gesù promette che chi ha fiducia in lui, si fida di lui, non resterà prigioniero della morte che lo colpisce (“io lo risusciterò”).

Proprio in questa domenica di Avvento, che quest’anno c’invita a guadare a Maria, raggiunta in modo singolare, unico, da Dio con il suo amore, possiamo trovare conferma alla nostra fede e una risposta alla nostra domanda. Il conforto alla fede è offerto dalla seconda lettura, un testo della lettera di S. Paolo ai cristiani di Efeso (1,3-6.11-12), che descrive, come in un grande affresco, la vicenda della vita umana, della nostra esistenza, una vicenda che è iniziata e che prosegue sotto il segno della “benedizione” di Dio, di Dio, il Padre di Gesù, che vuole esserlo anche di noi, perché ci considera suoi figli, al pari di Gesù e, quindi, destinatari della stessa eredità di Gesù, una vita “risorta”, non più minacciata dalla morte, accanto a Lui. Per questo possiamo contare su Gesù, sperare, come scrive l’Apostolo in lui. La benedizione di Dio che avvolge la nostra esistenza le conferisce un orizzonte più ampio di quello della terra, l’orizzonte di una vita piena, risorta, come è stata quella ricevuta da Gesù nel sepolcro, dove era stato deposto in fretta quel venerdi di tanti anni fa, come sarà di ciascuno di noi, anche di chi ha perso la vita quel venerdi notte di un anno fa alla Lanterna Azzurra. Per loro questo orizzonte si è già aperto, perché sono nelle mani di Dio, il Padre di Gesù e nostro, perché Gesù risorto non li abbandona nelle mani della morte.

Asia, Benedetta, Daniele, Eleonora, Emma e Mattia, non li abbiamo più accanto a noi, ma non li abbiamo persi per sempre. Per questo la nostra vita, soprattutto quelle dei loro familiari e dei loro amici, può essere vissuta non solo nel ricordo di loro, ma anche nell’attesa di incontrarli un giorno, di averli restituiti da Gesù, come fece un giorno su questa terra quando restituì ai propri genitori una ragazzina dodicenne, un giovane alla propria mamma e l’amico Lazzaro alla sua amicizia e alle propri sorelle.

Penso che anche Maria, la mamma di Gesù, possa indicarci come non restare schiacciati da una sofferenza che continua ad apparire insostenibile, anche a distanza di un anno. Anche Maria ha conosciuto un turbamento profondo, quando ha udito le parole di saluto dell’angelo Gabriele, quando al tempio, con in braccio il piccolo Gesù, ha udito l’anziano Simeone parlare di una spada che le avrebbe trafitto il cuore e quando ai piedi  della croce vede gli aguzzini infierire su Gesù e assiste alla sua morte.

La decisione di Maria, comunicata all’angelo Gabriele e non più ritirata – “avvenga per me secondo la sua parola” – attesta la sua fiducia in Dio, anche quando non tutto le risulterà chiaro, accessibile alla sua comprensione, anche quando gli avvenimenti della vita di suo figlio gli procureranno una sofferenza indicibile, che solo un mamma può comprendere, tanto che anche per lei si compiranno le parole di Gesù (“chi crede in me, anche se muore, vivrà; chiunque vive e crede in me, non morirà in eterno”).

Ascoltando la parola di Dio e guardando a Maria, non rinunciamo a pregare, a rivolgere a Dio la nostra preghiera, carica di tanta sofferenza, per chiedergli di dare definitivo compimento alla sua benedizione per Asia, Benedetta, Daniele, Eleonora, Emma e Mattia, di prenderli con sé, accanto a Gesù risorto e a chiedere a Maria, di non permettere che la sofferenza che turba il cuore oscuri i giorni della nostra vita.

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