Notte di Natale 2020

Nell’annuncio dell’angelo ai pastori nella campagna di Betlemme, avvolta dalle tenebre della notte, troviamo parole che da sempre ci riguardano e che ancor più in questi tempi: «Non temete, ecco vi annuncio una grande gioia… è nato per voi un Salvatore (cfr vangelo della Messa, Lc 2,1-14).

Stiamo vivendo ormai da molti mesi con tante paure addosso, paura non solo di un contagio dai possibili esiti mortali (come ci ricordano le ormai più di 70.000 vittime), ma anche di dover sostenere un presente che sta chiedendo da molto (troppo) tempo molte (troppe) rinunce e di vedere compromesso il nostro futuro. Ci sentiamo come quel popolo, di cui parla il profeta Isaia nella prima lettura della Messa (Is 9,1-6), che “cammina nelle tenebre”. E’ veramente arduo, se non addirittura impossibile, camminare al buio, nelle tenebre; eppure bisogna farlo, perché non possiamo sempre contare su una luce che illumini  il nostro cammino.

È in questa situazione che abbiamo ascoltato le parole che l’angelo ha rivolto quella notte al gruppetto dei pastori che stavano vegliando il gregge. Nell’annuncio dell’angelo c’è una titolo attribuito a Gesù – Salvatore – che, per tanta gente, appare ormai vuoto, privo di significato.

Salvatore di che cosa, dato presumiamo di essere sufficientemente attrezzati per provvedere alla nostra vita, per garantirle sicurezza? Salvatore da che cosa, visto che presumiamo di riuscire a tenere a bada il male che minaccia la nostra persona e che quando non siamo più in grado di farlo, stiamo rivendicando il diritto di porre termine a un’esistenza che non riteniamo più all’altezza degli standard di una dignità decisa da noi?

E’ bastato un microscopico virus, con la sua mutevole aggressività, per metterci con le spalle al muro, per farci sentire persone che cercano una salvezza. La stiamo cercando in un vaccino che ci protegga dal virus, nelle cure di un personale sanitario che non si è sottragga alla nostra; la cerchiamo nella solidale vicinanza di persone di buona volontà che condividano con noi le nostre paure, la nostra solitudine e i nostri lutti.

Siamo tornati a essere persone bisognose di salvezza; lo eravamo anche prima, ma lo avevamo dimenticato. Ora lo scopriamo nuovamente.

Per questo l’annuncio dell’angelo che ci è nato un Salvatore, cioè che è nato per noi un Salvatore, potrebbe tornare a interessarci, ad avere un senso. Come potrebbe darci serenità il sapere nuovamente che questo Salvatore, che a Natale guardiamo come un “bambino avvolto in fasce, adagiato in una mangiatoia”, porta un nome significativo, Gesù (Dio salva) e che le profezie lo hanno presentato come il Dio-con-noi (l’Emanuele), il Dio che non fa un’apparizione fugace nella storia degli uomini, perché “ha posto la sua casa tra le nostre case”, resta con noi, per riscattare la nostra esistenza dal male che la avvilisce e per restituirle la dignità di un’esistenza umana, libera.

Potrebbe accadere anche a noi quanto è accaduto al “popolo che camminava nelle tenebre”: vedere una grande luce, sperimentare una gioia raddoppiata.

In questi mesi abbiamo manifestato spesso il desiderio di vedere presto la luce in fondo al tunnel, quando vedevamo alcuni bagliori di questa luce, nella disponibilità del personale sanitario, messa in campo fino alla perdita della propria vita, da parte di molti di loro; nella vicinanza solidale di molte persone di buona volontà che si sono adoperate a garantire il necessario per l’esistenza, a riempire la solitudine e a consolare sofferenze e lutti.

La luce che il bambino di Betlemme ci porta si lascia alimentare anche da questi bagliori. Da parte nostra consentiamo al Figlio di Dio di offrirci la “grande luce” del suo amore che si rende presente nelle vicende, anche in quelle tenebrose, della nostra storia, personale e epocale, che dirada le tenebre del male, soprattutto di quel male che ci rende ciechi nei confronti di ciò di cui abbiamo veramente bisogno e nei confronti della sofferenza delle persone più in difficoltà.