Urbino, 11 aprile 2005
CHIAMATI A TESTIMONIARE NEL MONDO DEL LAVORO
1 Sam 3,3b-10.19
Gv 1,35-42
Dio chiama gli uomini, perché vuole affidare loro una missione: li chiama perché collaborino al suo piano di salvezza.
Nella prima lettura abbiamo ascoltato il racconto della chiamata di Samuele. Quando è certo che è proprio il Signore a chiamarlo, Samuele rompe ogni indugio e risponde: “Parla, Signore! Il tuo servo ti ascolta”. In questa disponibilità c’è tutta la grandezza di Samuele: poiché egli ha capito la diversità che esiste tra Dio e tutto il resto, egli capisce anche la serietà della vita e la sente come chiamata e missione. Vale la pena di vivere se c’è una missione da compiere, se c’è uno scopo da raggiungere, se c’è un ideale che illumina e dà senso all’esistenza.
Nel Vangelo la situazione di Samuele si ripete nella vita degli apostoli: è Gesù che chiama i suoi primi discepoli. Restiamo stupiti per la semplicità di quel primo incontro da cui doveva nascere il collegio apostolico e la Chiesa: Maestro, dove abiti? Venite e vedrete. Andarono e si fermarono presso di lui tutto il giorno. Non sappiamo che cosa dissero, ma dovettero essere affascinati da Gesù se decisero di restare con lui tutta la vita. Anzi, non si contentarono di restare con lui da soli e di tenere per sé la chiamata: Andrea corse a dirlo a Simone, suo fratello; Filippo a Natanaele. Abbiamo trovato colui di cui hanno scritto Mosé nella Legge e i profeti (Gv 1,45). Ugualmente Giovanni corse a dirlo a qualcuno perché in seguito con lui troviamo anche suo fratello Giacomo.
I discepoli fanno discepoli, partecipano con incontenibile desiderio la loro scoperta agli altri. Ma in che cosa consiste la loro chiamata, la loro identità e missione?
I discepoli sono persone che divengono amici di Gesù, stabiliscono un rapporto di sincero amore con lui, hanno la consapevolezza di appartenere a lui, di far parte del gruppo di coloro che lo seguono da vicino.
Una caratteristica del discepolo è infatti quella della sequela, e cioè dell’imitazione del Maestro. I discepoli vogliono mettere in pratica l’insegnamento del Maestro, condividono e imitano i suoi atteggiamenti e le sue scelte.
Un’altra caratteristica del discepolo è quella della testimonianza, che può assumere anche la forma suprema del martirio. Il discepolo non si vergogna del Maestro e del suo insegnamento, ma attesta con coraggio, con la sua vita, la verità di quanto ha conosciuto e sperimentato. Il discepolo non si tira indietro di fronte all’indifferenza, all’ostilità, alla derisione, alla persecuzione anche cruenta: la fedeltà al Maestro e al suo insegnamento viene prima di ogni altra considerazione o interesse.
Il Signore chiama anche oggi, chiama ad essere suoi discepoli. La Chiesa è la comunità dei chiamati, la comunità dei discepoli di Cristo.
Essere oggi discepoli di Gesù significa essenzialmente due cose: anzitutto imitare Cristo, nel senso inteso dal Vangelo e cioè di mettersi alla sua sequela e imparare da lui, soprattutto a fare la volontà del Padre; poi testimoniare Cristo, dire al mondo chi egli è, che cosa è stato ed è per noi, fare altri discepoli. Tutto questo a cominciare da quegli ambienti o mondi vitali di cui è intessuto il vissuto quotidiano.
In particolare, per quanto riguarda il mondo del lavoro, il cristiano vive il suo discepolato cercando anzitutto di imitare l’esempio di Gesù. In effetti il Figlio di Dio non si è sottratto al compito del lavoro: ha scelto di passare la maggior parte della sua vita terrena lavorando nell’umile bottega del falegname di Nazareth. Deve essere importante il lavoro se per tanto tempo Gesù si è assoggettato ad esso. In effetti il lavoro corrisponde ad una chiamata di Dio a collaborare con la sua opera della creazione. E’ attraverso il lavoro che l’uomo “trasforma la terra”, rende più abitabile questo mondo, portando così a compimento l’opera del Creatore. Di qui la grande dignità del lavoro, di ogni lavoro, anche di quello più umile e socialmente poco apprezzato. Il lavoro non è soltanto un mezzo per procurarsi i mezzi per il proprio sostentamento; è la via attraverso la quale l’uomo, collaborando con Dio, realizza se stesso, provvede ai bisogni della famiglia e contribuisce a migliorare le condizioni di vita della società.
In secondo luogo il cristiano si manifesta vero discepolo del Signore se attraverso il lavoro annuncia il Vangelo offrendo una testimonianza di amore e di solidarietà verso i fratelli. Il lavoro è occasione di incontro tra le persone; è allo stesso tempo occasione per instaurare rapporti di amicizia e di solidarietà. Il cristiano si impegna per creare condizioni di lavoro che siano rispettose della dignità della persona umana e che riconoscano, come insegna la Dottrina sociale della Chiesa, la priorità dell’uomo sul lavoro e del lavoro sul capitale.
Certamente il lavoro comporta fatica, impegno, sacrificio. Non è facile dare la propria testimonianza nel lavoro, facendosi riconoscere come discepoli del Cristo. Per il cristiano c’è il rischio anche oggi, in certi ambienti, di incontrare ostilità, di essere boicottato, segnato a dito, o guardato come persona “anormale”.
Eppure, quando il Signore chiama, non lascia soli. Per questo ha istituito l’Eucaristia. Nell’Eucaristia offriamo il pane e il vino, frutto della terra e del lavoro umano, perché diventino il corpo e il sangue di Cristo. Nell’Eucaristia il cristiano unisce al sacrificio di Cristo il sacrificio del proprio lavoro e della propria testimonianza, perché sia trasformato in seme di salvezza per il mondo.
Nell’Eucaristia, peraltro, facciamo il memoriale di Colui che per noi ha donato la vita, tutto se stesso: per noi, per nostro amore e per la nostra salvezza è morto ed è risuscitato. Per nostro amore ha deciso di restare per sempre con noi.
Partecipando all’eucaristia, diveniamo consapevoli che anche noi siamo chiamati a fare della nostra vita un dono a Dio e ai fratelli. L’eucaristia è il luogo in cui si ridesta la nostra missione; “fate questo in memoria di me”: quello che io ho fatto, fatelo anche voi; io mi sono donato, donatevi anche voi.
E l’eucaristia è il cibo che ci dà forza, ci sostiene nella nostra missione, rendendoci così capaci di rispondere alla chiamata. Senza l’eucaristia, senza questo pane disceso dal cielo che dà la vita, non è possibile vivere da cristiani, autentici discepoli del Signore. E’ l’eucaristia, come dice il Concilio, la fonte e il culmine della vita cristiana.
Ringraziamo il Signore per questo dono inestimabile e mettiamolo veramente al centro della nostra esistenza, per essere suoi autentici discepoli