Senigallia, 13 ottobre 2012
1. Dobbiamo sempre lodare e benedire il Signore per i suoi doni. Oggi abbiamo un motivo particolare per ringraziare il Datore di ogni bene: lo ringraziamo per il dono del Sinodo. Come ci siamo riuniti tre anni fa in solenne assemblea per dare inizio a questo evento ecclesiale, oggi, a conclusione dello stesso evento, siamo ancora qui convocati per esprimere la nostra gratitudine. E’ la comunità cristiana diocesana che fa rendimento di grazie al Signore per averla accompagnata con il fuoco del suo Spirito in questo periodo del cammino sinodale.
Il Sinodo è stato veramente un tempo di grazia: un tempo in cui abbiamo sentito il bisogno di un rinnovamento profondo della nostra Chiesa nella fedeltà al progetto di Dio e nell’attenzione ai bisogni dell’uomo del nostro tempo. Un tempo di grazia, perché accompagnati e guidati dallo Spirito del Signore, che fa nuove tutte le cose, ci siamo sentiti chiamati a “ridisegnare” il volto della nostra Chiesa diocesana, a fare in qualche modo “nuove” le nostre comunità parrocchiali, a rivitalizzare la nostra azione pastorale per rispondere alle sfide sempre nuove della storia. Un tempo di grazia, perché abbiamo sperimentato la bellezza del camminare insieme – pur nella diversità delle esperienze, dei doni e dei ministeri – vivendo uno stile di vita ecclesiale che non deve mai venir meno.
2. Quale è stato, in sintesi, il percorso che abbiamo seguito in questa memorabile esperienza di Chiesa, esperienza che è testimoniata dai documenti che or ora mi sono stati consegnati?
Dopo un periodo di preparazione in cui si è cercato di focalizzare il tema, lo scopo e il metodo del cammino sinodale siamo entrati nel vivo del percorso spendendo il primo anno nell’ascolto. Ascolto di Dio, anzitutto, per capire e attuare la sua volontà. Ma allo stesso tempo ascolto degli uomini e delle donne del nostro tempo per conoscere le loro aspettative, i loro problemi, i loro progetti. Ci siamo messi in ascolto delle diverse categorie della società civile per percepirne i bisogni, le speranze, le preoccupazioni. Abbiamo anche prestato attenzione alle realtà della Chiesa locale, mettendone in evidenza le luci e le ombre, le potenzialità e i limiti.
Nel secondo anno siamo entrati più propriamente nel tema “un cuor solo e un’anima sola”, riscoprendo e approfondendo l’identità della Chiesa, così come è stata presentata soprattutto dal Concilio Vaticano II, di cui proprio in questi giorni ricordiamo l’apertura avvenuta cinquanta anni fa. “Un cuor solo e un’anima sola”: questo vuol dire che la Chiesa prima di ogni altra cosa, prima di ogni programma pastorale, è chiamata a realizzarsi come comunione: comunione degli uomini con Dio e comunione degli uomini tra di loro. Comunione significa partecipazione, collaborazione, corresponsabilità, vicinanza tra le persone, relazioni amicali autentiche. Significa analizzare insieme le situazioni, fare insieme il discernimento, decidere insieme che cosa fare. Significa mettere in comune i propri doni e le proprie povertà. Significa Consiglio pastorale in ogni parrocchia, collaborazione tra le parrocchie, costituzione delle unità pastorali.
Dalla comunione nasce la missione. Quanto più si vive la comunione tanto più si è missionari. La missione è stato il tema affrontato nel terzo e ultimo anno. Ci siamo detti che in pratica la missione consiste nell’educare alla vita buona del Vangelo, incarnando l’amore e l’insegnamento di Gesù negli ambiti fondamentali dell’esistenza: la vita affettiva, il lavoro e la festa, la fragilità, la tradizione, la cittadinanza.
Tante sono le proposte e le scelte che sono state formulate. Ne richiamo in particolare alcune: in riferimento alla vita interna della Chiesa, una spiccata attenzione alla evangelizzazione degli adulti e un rinnovato percorso di iniziazione cristiana dei ragazzi; in riferimento alla società civile, un più vivo impegno nel sociale per prendere a cuore i problemi del nostro tempo, per farci voce di chi non ha voce, per dare il nostro contributo alla realizzazione del bene comune; vogliamo offrire la nostra collaborazione alle Istituzioni in vista della costruzione della città dell’uomo, di una città cioè, fraterna e solidale, che trovi il suo fondamento nella dignità di ogni persona, nel valore della vita e della famiglia, nella fruibilità di quei beni, a cominciare dal lavoro, che sono necessari per una vita serena e dignitosa.
3. Abbiamo sentito nella prima lettura, tratta dal libro degli Atti degli Apostoli (15,22-31), che al termine del Concilio di Gerusalemme (potremmo chiamarlo il primo Sinodo della storia) gli apostoli mandarono una lettera ai cristiani di Antiochia per comunicare quanto lo Spirito Santo ed essi stessi avevano deciso in quella assise.
I documenti votati dal Sinodo e autorevolmente confermati dal Vescovo saranno la lettera che viene inviata a tutti i cristiani, a tutti gli abitanti, a tutte le istituzioni del territorio diocesano come contributo alla costruzione di comunità ecclesiali che vivono la comunione e la missionarietà e allo stesso tempo come contributo alla costruzione della città dell’uomo. La lettera che vogliamo inviare a tutti i soggetti del nostro territorio non vuol essere però soltanto un documento cartaceo: la lettera più significativa e convincente vuole essere la nostra persona, ciascuno di noi, ciascun membro della nostra Chiesa, ciascuna parrocchia, ciascun gruppo, movimento, ed associazione ecclesiale che si impegna con convinzione e generosità ad attuare le proposte e gli indirizzi del Sinodo.
4. Se il Sinodo giunge oggi alla sua conclusione, il cammino della Chiesa non si ferma. Si riprende continuamente il largo nel mare della storia sulle orme di Cristo. Si va avanti con coraggio e con fiducia, senza tristezza e senza paura, senza pause e senza rimpianti. Nella pagina del Vangelo di Giovanni abbiamo ascoltato l’invito pressante di Gesù: “Come il Padre ha amato me, così io ho amato voi. Rimanete nel mio amore” (Gv 15,9).
“Rimanete nel mio amore”: soltanto così il Sinodo può portare frutto. Soltanto così la nostra vita personale e comunitaria trova il suo senso compiuto e quella gioia che unicamente Lui, il Signore, è capace di dare. Soltanto così quello che ci sforziamo di fare rimarrà nella storia della nostra Chiesa e delle nostre comunità locali.
“Rimanete in me e io in voi”. In ultima analisi ciò che più conta per costruire e vivere la chiesa come comunione e missione, per essere sale della terra e luce del mondo, per realizzare la nostra vocazione alla santità e, in definitiva, per essere salvi, è la fede, è l’essere radicati nel Signore.
5. Per una felice coincidenza, mentre oggi termina il Sinodo diocesano, diamo inizio insieme alla Chiesa universale all’Anno della Fede indetto dal Papa Benedetto XVI. L’anno della fede si collega coerentemente oltre che al nostro Sinodo Diocesano al Concilio Vaticano II che ha avuto inizio cinquant’anni fa. Il Concilio è stato un evento formidabile, una grazia straordinaria, una bussola per il cammino della Chiesa e dell’umanità. Anche se il Vaticano II non ha dedicato uno specifico documento al tema della fede, esso ne parla in ogni pagina riconoscendone il carattere vitale e soprannaturale e costruendo su di essa tutto il suo insegnamento. E’ dalla fede che ha origine l’aggiornamento della Chiesa, il compito assegnato al Concilio Vaticano II dal Beato Giovanni XXIII che lo ha convocato.
Nel suo documento di indizione dell’anno della fede Benedetto XVI scrive che la fede è la porta che “introduce alla vita di comunione con Dio e permette l’ingresso nella sua Chiesa” . Detto in altre parole, la fede è la porta che introduce alla salvezza, come ci ricordava la seconda lettura (1Pt 1,3-9): salvezza dall’insignificanza nostra e dell’universo; salvezza dal vuoto esistenziale; salvezza dal peccato e cioè dall’indegnità morale, salvezza dalla prospettiva che la morte coincida con l’annientamento totale.
Di fronte ad una desertificazione spirituale che sembra diffondersi nel nostro tempo, di fronte anche alle gravi difficoltà che nel presente contesto toccano profondamente le persone, le famiglie e la società, la fede è la realtà capace di dare un senso compiuto alla vita, di fornire un fondamento alla speranza, di far uscire dal pessimismo e dalla disperazione, di dare impulso alla carità, alla solidarietà, all’impegno per gli altri.
La fede di cui parliamo non è una fede qualsiasi, non è l’adesione ad una dottrina o filosofia, non è un fatto emozionale, nè un fatto magico: è mettere la propria fiducia nella persona di Gesù di Nazareth, il Crocifisso risorto. il Figlio di Dio, Dio egli stesso; è aderire con la mente e col cuore a tutto quello che egli ha rivelato con la sua vita e il suo insegnamento.
In questo Anno della Fede, che oggi inauguriamo, vogliamo impegnarci, in linea con il nostro Sinodo e con il Concilio Vaticano II, a mettere il Credo, la fede apostolica del popolo di Dio, al centro della vita personale e della vita e missione della nostra comunità ecclesiale. Una fede convinta, professata e testimoniata con umiltà e coraggio: è questo il primo e prezioso servizio che possiamo offrire alla Chiesa perché sia una comunità interiormente rinnovata, consolidata dalla comunione e dedita al servizio delle donne e degli uomini del nostro tempo.
Che lo Spirito Santo continui a guidarci e accompagnarci nel nostro cammino, rendendoci testimoni credibili del Vangelo nella Chiesa e nel mondo e interceda per noi Maria, la Madre di Dio e della Chiesa, proclamata “beata” perché “ha creduto” (Lc 1,45). Così sa.