Anche quest’anno abbiamo la grazia e la gioia di vivere insieme la celebrazione della Messa crismale che è l’espressione più bella e significativa della nostra comunione ecclesiale e in particolare del vincolo di comunione che lega il Vescovo ai suoi sacerdoti e i sacerdoti tra loro nell’unico presbiterio della nostra Chiesa senigalliese.
Saluto con affetto tutti voi che siete qui convenuti: saluto voi ragazzi che state per ricevere la Cresima e sarete unti con il sacro crisma che oggi viene consacrato, saluto voi ministri straordinari della comunione, vecchi e nuovi, a cui la Chiesa affida l’incarico di aiutare i sacerdoti nella distribuzione dell’Eucaristia e nel portarla agli ammalati; saluto voi, diaconi, religiose, religiosi, seminaristi e voi tutti fedeli che rappresentate il popolo santo di Dio. Ma in maniera tutta particolare saluto voi confratelli nel sacerdozio: oggi è la nostra festa! Il Giovedì Santo infatti è il giorno in cui Gesù ha istituito l’Eucaristia e il sacerdozio. E’ a voi sacerdoti che soprattutto mi rivolgo in questa circostanza.
Nel Vangelo che abbiamo ascoltato Gesù fa la presentazione di se stesso nella sinagoga di Nazaret, dicendo: “Lo Spirito del Signore è su di me; mi ha consacrato con l’unzione… e mi ha mandato a portare il lieto messaggio” (Lc 4,16-21).
Anche noi, con il sacramento dell’Ordine, abbiamo ricevuto il dono dello Spirito Santo, per portare al mondo il gioioso annuncio dell’amore di Dio. Il lieto messaggio però riusciamo a portarlo al mondo in modo credibile e convincente, se abbiamo il cuore lieto. Ce lo ricorda con grande forza ed efficacia l’Esortazione apostolica Evangelii gaudium di Papa Francesco.
Vorrei che questa nostra celebrazione del Giovedì Santo aiutasse ciascuno di voi, carissimi sacerdoti, a tornare al vostro ministero in parrocchia o nelle altre realtà della nostra diocesi col cuore lieto, per annunciare il “lieto messaggio” che Gesù ci ha consegnato.
Sappiamo bene che il nostro cuore non è sempre lieto e perciò non sempre siamo capaci di annunciare il Vangelo con un volto gioioso. I motivi di questo stato d’animo possono essere diversi: le obiettive difficoltà che si incontrano nella pastorale quando si tratta di annunciare il Vangelo a tante persone che rimangono “insensibili” ai valori spirituali e “indifferenti” a una proposta propriamente religiosa, la difficoltà dei rapporti all’interno e all’esterno della comunità ecclesiale, la carenza di collaboratori… Si avverte da parte di molti la fatica nel portare avanti la pastorale ordinaria, in particolare la fatica per il sovraccarico di impegni pastorali che a volte incombe sulle proprie spalle. Le richieste dei parrocchiani talora sono così assillanti che non tengono conto della salute psico-fisica dei sacerdoti e impediscono una serena cura delle relazioni. A ciò si può aggiungere un senso di delusione e frustrazione quando non si trova il tempo, la collaborazione e la comprensione dei “vicini” nel caso in cui si vorrebbe intraprendere una pastorale più propriamente missionaria, non aspettando che gli altri vengano da noi, ma andando noi a cercarli e incontrarli.
Vivendo in questa situazione di complessità, fatica, sofferenza, non possiamo dimenticare che in tal modo partecipiamo alla croce di Cristo, la croce che è la via scelta da Dio per la salvezza dell’umanità. Ma chi partecipa alla croce di Cristo ha anche i titoli per gustare la gioia di Dio. La croce di Cristo, abbracciata per amore, non porta alla tristezza, ma alla gioia, alla gioia di essere salvati. Ogni conversione provoca la gioia di Dio ed è questa la gioia che è capace di ricaricare il nostro cuore. Quando si dà un’assoluzione si provoca la gioia di Dio. Quando si annuncia la Parola e si tocca il cuore di un uditore, si provoca la festa di Dio. Quando si salva una coppia in crisi si provoca una grande festa in cielo. Quando si fa rifiorire il sorriso e la speranza in un ammalato, un povero, un emarginato, è Dio che si rallegra. La festa di Dio, la gioia di Dio, deve essere anche la festa, la gioia del sacerdote.
Nessun cristiano e tanto meno un sacerdote può essere triste e avere un volto da funerale, come spesso ripete il nostro Papa Francesco. Nella Evangelii gaudium il Papa scrive che la nostra gioia nasce dall’aver incontrato una Persona: Gesù che è in mezzo a noi, per cui non siamo mai soli, nemmeno nei momenti più difficili.
E’ dunque possibile riscoprire il segreto del nostro essere preti, il fascino di vivere il nostro servizio sacerdotale nella gioia della nostra vocazione e missione di presbiteri di Cristo e della Chiesa. Si può trovare rimedio alla tristezza, alla fatica, allo scoraggiamento.
Il primo rimedio è il nostro rapporto con il Signore. Ritornare continuamente alla sorgente è ciò che è veramente essenziale nella nostra vita personale e nel nostro ministero. Contempliamo il volto di Gesù. Egli non si arrende di fronte alla fatica, alle difficoltà della sua missione. Il suo riferimento essenziale e imprescindibile è lo Spirito santo: “lo Spirito del Signore è su di me, mi ha consacrato con l’unzione … e mi ha mandato a portare il lieto messaggio”. Anche noi abbiamo ricevuto lo Spirito Santo: è nella sua potenza che troviamo la forza per il nostro ministero, la fiducia e la speranza riguardo al seme che gettiamo. Lo abbiamo ricevuto, lo Spirito Santo, nel giorno dell’ordinazione per mezzo della preghiera consacratoria e dell’unzione con il sacro crisma, l’olio profumato che benediciamo nuovamente tra poco, l’olio che risana, illumina, conforta, consacra, santifica.
La nostra forza non è tanto nel fare, nel correre, nel lavorare, ma soprattutto nella preghiera, nell’adorazione di Cristo presente nell’Eucaristia, nella meditazione della sua Parola.
Il secondo rimedio è la comunione presbiterale. Enzo Bianchi scrive che “vivere la comunione del presbiterio è più importante che lasciarsi assorbire dal proprio lavoro” (RivClIt 2011, p.728). Vivere la comunione del presbiterio non è soltanto una questione organizzativa, funzionale, ma un’esigenza sacramentale, un legame ontologico, che deriva dall’Ordine sacro.
Quanto è importante l’amicizia, la fraternità tra noi, la stima è l’aiuto reciproco! Quanto è bello condividere momenti di “comunicazione della fede” anche al di fuori dei momenti istituzionali. Tutti abbiamo bisogno di fraternità in Cristo! La gioia viva del Signore, che sperimentiamo nella fraternità, ci è necessaria come l’ossigeno per la vita. Ce lo ricorda Gesù stesso con il suo discorso dell’ultima cena: “che tutti siano una cosa sola come noi…”. Ce lo chiede il Concilio (cf.PO 14), ce lo domanda pressantemente il nostro Sinodo diocesano.
E quanto è importante la comunione presbiterale ai fini dell’evengelizzazione! Quando si vedono dei preti che si vogliono bene, si stimano, collaborano, camminano insieme, la gente rimane edificata, il cuore si apre al Vangelo.
In questo ultimo tratto del mio servizio come pastore di questa amata Chiesa di Senigallia vorrei tanto che le nostre relazioni, all’interno del presbiterio, si rafforzassero, si sviluppassero ulteriormente, soprattutto sul piano dell’amicizia e della fraternità per poi giungere alla collaborazione e alla corresponsabilità… Posso affermare che in questi anni è cresciuto in me l’amore per questa nostra Chiesa particolare: sono certo che questo affetto mi accompagnerà fino all’ultimo. Se me lo permettete avrei piacere, prima di passare il testimone al mio successore, di farmi più prossimo a ciascuno di voi sacerdoti, magari venendovi a trovare nei luoghi dove con tanta dedizione svolgete il ministero, per condividere con voi la fatica ma anche la gioia dell’annuncio del Vangelo.
Il Signore ci benedica tutti, vescovo e sacerdoti, mentre tra qualche istante rinnoveremo le promesse fatte il giorno dell’Ordinazione. Il Signore benedica voi, ragazzi e ragazze che riceverete il sacramento della Cresima; benedica voi, ministri straordinari della comunione, per la vostra disponibilità come pure benedica voi tutti diaconi, religiose, catechisti e collaboratori parrocchiali. A voi tutti, popolo santo di Dio, il Signore conceda di vivere una santa Pasqua di risurrezione. Così sia.