Omelia nella Messa Crismale (Giovedì 12 aprile 2001)

Senigallia, Chiesa della Maddalena, 12 aprile 2001, Giovedì Santo

1. Avvertiamo tutti la gioia profonda di questo momento che, per una Chiesa locale, è uno dei più solenni e significativi di tutto l’anno. E’ il momento in cui il presbiterio si riunisce intorno al vescovo per celebrare la propria origine e unità. E’ il momento in cui riviviamo l’istituzione dell’eucaristia e del sacerdozio e rendiamo lode al Signore per questi doni immensi che gratuitamente ha voluto elargirci. E’ il momento in cui tutti, vescovi, sacerdoti, religiosi, religiose, laici, esprimiamo la gioia di essere unico popolo di Dio, unica Chiesa, unico corpo di consacrati.

2. Lo Spirito del Signore è sopra di me, per questo mi ha consacrato con l’unzione (Lc 4,18).
Come ci ha detto il brano evangelico, queste parole Gesù per primo le ha applicate a sé. Ma anche noi possiamo applicarle a noi stessi. Infatti noi pure abbiamo ricevuto l’unzione santa che ci ha consacrato, colmandoci di Spirito Santo: l’abbiamo ricevuta nel Battesimo, nella Cresima e – alcuni di noi: diaconi, sacerdoti, vescovi – nell’Ordine Sacro. La consacrazione è avvenuta attraverso l’olio, che proprio in questa occasione del Giovedì Santo viene portato all’altare per essere benedetto dal Vescovo.
Il rito che oggi rinnoviamo è un forte invito a prendere coscienza della nostra identità: siamo un popolo di consacrati, di unti, di “cristi”, perché lo Spirito Santo è sopra di noi, dentro di noi; egli è l’ospite dolce dell’anima, il dolcissimo sollievo, il motore della nostra vita spirituale e del nostro servizio ecclesiale.
Questo dono inestimabile dello Spirito Santo, che abbiamo ricevuto senza alcun merito da parte nostra, comporta che noi ravviviamo continuamente la nostra coscienza di consacrati. Siamo di Dio, siamo sua proprietà, siamo sua dimora preferita e felice.
Se apparteniamo a Dio, questo significa che siamo preziosi, valiamo molto davanti ai suoi occhi; siamo rivestiti della sua altissima dignità. Da un lato ciò dovrebbe mantenerci in un atteggiamento di umiltà e trepidazione; dall’altro in atteggiamento di perenne rendimento di grazie.
Peraltro ciascuno dovrebbe dire a se stesso: debbo essere ciò che sono. Sono consacrato, devo essere sacro, cioè santo anche in tutta la mia condotta. “Siate santi, perché io sono santo” (Lev 11,44). La nostra consacrazione deve passare continuamente dall’ordine ontologico, dell’essere, a quello pratico dell’agire.
E’ per confermare la nostra consacrazione e la nostra volontà di viverla fedelmente che noi sacerdoti oggi rinnoviamo le promesse del giorno della nostra ordinazione: vorremmo farlo con lo stesso slancio e con la stessa fiducia di quel giorno.

3. Cari Confratelli, nella sua Lettera apostolica a conclusione del Giubileo, Novo Millennio Ineunte, lettera che oggi ho il piacere di consegnarvi, il Santo Padre, ricalcando le parole di Gesù, ci invita tutti a prendere il largo: duc in altum! Siamo tutti chiamati a far tesoro dell’esperienza giubilare e dell’esperienza ecclesiale che abbiamo finora condotto. Per quanto ci riguarda, come figli e ministri di questa Chiesa locale, dobbiamo in particolare far tesoro dell’esperienza della Missione diocesana come pure della beatificazione del nostro Papa senigalliese Pio IX. Si tratta di far tesoro dei doni ricevuti e proseguire con entusiasmo il nostro cammino confidando nella parola di Gesù.

a) Prendere il largo in primo luogo significa ripartire da Cristo, ripartire dalla contemplazione del suo volto. Occorre ripartire da lui per attuare il progetto di santità che deve rappresentare la priorità assoluta del nostro programma di vita spirituale e di ogni nostro programma pastorale.
Nel messaggio che in questo Giovedì Santo dell’anno 2001 il Papa indirizza a tutti i Sacerdoti, Giovanni Paolo II ci chiede di riscoprire il sacramento della Riconciliazione come strumento fondamentale della nostra santificazione. Questo sacramento, irrinunciabile per ogni esistenza cristiana, si pone anche come sostegno, orientamento e medicina della vita sacerdotale. Il sacerdote è ministro e testimone della misericordia di Dio; se egli stesso fa pienamente l’esperienza della riconciliazione sacramentale, avverte poi del tutto naturale ripetere ai fratelli: “lasciatevi riconciliare con Dio” (2 Cor 5,20).
In questo giorno chiediamo al Signore di riscoprire la bellezza di questo sacramento; ricorriamo spesso alla confessione, perché il Signore possa purificare costantemente il nostro cuore, rendendoci meno indegni dei misteri che celebriamo.

b) Prendere il largo in secondo luogo significa ripartire da Cristo per riscoprire la sorgente e la logica della nostra fraternità. E’ Gesù che ci dona lo Spirito per fare di tutti noi “un cuor solo e un’anima sola” (At 4,32). Lo Spirito Santo ci è stato donato perché possiamo mettere in pratica il “comandamento nuovo” che Gesù ci ha lasciato: “Come io vi ho amato, così amatevi anche voi gli uni gli altri” e perché possiamo realizzare quell’unità per la quale prima di morire Gesù ha accoratamente pregato: “Come tu, Padre, sei in me ed io in te, siano anch’essi una cosa sola, perché il mondo creda che tu mi hai mandato” (Gv 17,21).
Oggi è il giorno dedicato particolarmente alla comunione sacerdotale; con il rinnovo delle promesse sacerdotali vogliamo in particolare riaffermare l’unità del presbiterio intorno al suo pastore. Noi sappiamo che al di fuori della comunione ecclesiale – di cui il vescovo è il simbolo, la ragione, lo stimolo – non si costruisce, ma si distrugge: il ministero come prerogativa personale e fatto individuale non ha senso, non edifica la chiesa.
La comunione a cui siamo chiamati esige, peraltro, che nella comunità cristiana si dia spazio a tutti i doni dello Spirito. Non si può fare a meno di favorire il fiorire, accanto al ministero ordinato, di altri ministeri, istituiti o semplicemente riconosciuti, a vantaggio di tutta la comunità, per sostenerla nei suoi molteplici bisogni (cf. NMI n.46).
A questo riguardo, sentito il parere unanime del Consiglio Presbiterale, sono lieto di annunciare che il prossimo ottobre si darà inizio in Diocesi ad un “Corso di formazione teologico-pastorale ai ministeri ecclesiali”: oggi stesso, insieme con la Lettera post-giubilare del Papa vi consegno,cari Confratelli, una mia lettera in cui vi esorto a promuovere questo Corso, dando così ai nostri laici ecclesialmente impegnati la possibilità di prepararsi a svolgere quei servizi di carattere stabile e continuativo che corrispondono ai loro doni: potranno rendersi in questo modo pienamente corresponsabili della vita della Chiesa.
Nutriamo la speranza che tra coloro che avranno frequentato tale Corso il Signore chiami qualcuno a proseguire il cammino di formazione in vista del Diaconato permanente: sarebbe una grande grazia per la nostra Chiesa locale, una grazia da accogliere con gratitudine e fiducia.

c) Prendere il largo, infine, significa sottolineare con forza la dimensione missionaria del nostro impegno pastorale. Dobbiamo andare avanti con speranza, con entusiasmo, con generosità, lanciandoci verso traguardi nuovi ed anche audaci, spalancando agli uomini, particolarmente ai “lontani”, la strada che conduce a Cristo.
Non dimentichiamo che “l’apostolato è sempre il traboccare della vita interiore”. Se saremo capaci di fissare il nostro sguardo sul volto di Cristo ed entrare nelle profondità del suo cuore, allora saremo anche capaci di camminare nel mondo con il passo spedito di Cristo e di lavorare alla costruzione del Regno con lo slancio, la dedizione, l’audacia di Cristo.

4. Per quanto riguarda il mio ministero episcopale sento il bisogno di fare anch’io una scelta, con umiltà e fiducia, per rispondere al pressante invito di Gesù: duc in altum! In questi quattro anni del mio servizio nella nostra Chiesa di Senigallia ho già visitato in più occasioni tutte le comunità parrocchiali. Ho conosciuto tutti i presbiteri, i religiosi, le religiose, il diacono, i seminaristi, le associazioni, i gruppi, i movimenti. Ho avuto l’opportunità di apprezzare il servizio di tanti fedeli impegnati ecclesialmente come catechisti, educatori, ministri straordinari della comunione, animatori della liturgia e della carità, obiettori e volontari del servizio civile, missionari impegnati nella missione diocesana del popolo al popolo.
Ritengo di dover ora fare un passo in avanti: approfondire maggiormente la stima e l’amicizia reciproca, incontrarvi là dove ciascuno di voi vive, cercare coloro che ancora non ho avuto il dono di conoscere, soprattutto gli ammalati e i cosiddetti “lontani”, dare impulso alla missione diocesana, confermare e incoraggiare tutti coloro che sono impegnati per il Regno.
Per questo motivo vi annuncio la mia intenzione di intraprendere prossimamente la Visita Pastorale. Mi riprometto di concordare con Voi, cari fratelli nel sacerdozio, i tempi e le modalità di tale evento, che vuol essere un evento di grazia. Sarò lieto di ricevere il vostro parere e i vostri suggerimenti, perché tutto concorra alla crescita della fede, dell’unione fraterna e dello slancio missionario.

5. Per concludere, desidero rivolgere a tutti voi, carissimi confratelli, il mio attestato di sincera stima e viva gratitudine. A nome del Signore vi dico grazie per tutto quello che fate, ma soprattutto grazie per quello che siete. Grazie per la vostra testimonianza. Grazie per la collaborazione e per la fatica del vostro ministero. Anche in mezzo alle croci della vita e alle difficoltà del servizio pastorale, il Signore Gesù, sommo ed eterno sacerdote, per noi morto e risuscitato, vi faccia assaporare la gioia della sua presenza e della sua vittoria sul male e sulla morte.
Anche a voi, ministri ausiliari della comunione, a cui tra poco conferisco il mandato o vi confermo nel vostro incarico, dico a nome della Chiesa grazie per il servizio che prestate; nelle vostre mani la Chiesa mette il suo tesoro, l’eucaristia: imitate, con la donazione di voi stessi, Colui che donate agli altri nel pane consacrato.
E grazie anche a voi, sorelle consacrate, per la vostra preziosa testimonianza; grazie, infine, a voi, fedeli impegnati nei vari ambiti della pastorale o nelle diverse articolazioni della vita sociale: siete voi che rendete visibile e operante la Chiesa là dove scorre la vita di ogni giorno. La Chiesa, che il nostro Beato Pio IX ha tanto amato e per la quale ha tanto sofferto e si è sacrificato.
Il Signore Gesù, che il primo Giovedì Santo ha istituito il sacerdozio e l’eucaristia, decidendo di restare per sempre accanto a noi come intercessore e segno supremo del suo amore, sia il nostro gaudio, la nostra forza, la nostra speranza.