Omelia nella Solennità del Patrono San Paolino da Nola (Cattedrale di Senigallia 4 Maggio 2002)

Senigallia, 4 maggio 2002

1. Come Isaia rispose “eccomi” alla chiamata del Signore che voleva affidargli una particolare missione (cf. Is 6,1-8), così anche il nostro Patrono, Paolino, giunto all’età di circa 35 anni, accolse, ricevendo il Battesimo, la chiamata del Signore che lo invitava ad una vita diversa, ad una vita di perfezione, ad una vita di totale dedizione a Dio e ai fratelli, soprattutto ai poveri.
Il Battesimo segnò veramente il momento culminante della sua sorprendente conversione. Egli stesso chiamò il giorno del Battesimo il giorno della sua nascita, la sua risurrezione nel Signore. In seguito al Battesimo sentì il bisogno di rinunciare agli onori della vita mondana, di abbandonare la carriera politica, e da ricco che era, decise di farsi povero, vendendo i suoi cospicui beni per darne il ricavato ai bisognosi. In questo modo prese alla lettera le parole del Vangelo: “Vendete ciò che avete e datelo in elemosina: fatevi … un tesoro inesauribile nei cieli, dove i ladri non arrivano e la tignuola non consuma” (Lc12,33).
Divenuto sacerdote e poi vescovo, Paolino manifestò sempre un grande amore, una costante e premurosa sollecitudine per i poveri e per tutti coloro che erano affidati alle sue cure di pastore.

2. Ispirandoci alla testimonianza di San Paolino, vogliamo fare una riflessione che ci aiuti a vivere questa celebrazione non come un atto formale, ma come un incontro con Dio, che ci parla attraverso il nostro Santo.
Il Patrono ci è dato per ricordarci che siamo amati da Dio. I nostri padri hanno scelto come Patrono di questa Città e Diocesi San Paolino perché, affidandoci alla sua protezione e intercessione, potessimo sperimentare l’amore grande e misericordioso di Dio per tutti, ma particolarmente per i più deboli e bisognosi.

3. Dio ama la Città, e anche noi, come ricordavo nell’omelia dello scorso anno in occasione della festa del Patrono, siamo chiamati ad amare la città. La città è il luogo dove le persone, vivendo nello stesso territorio, intrecciano i loro rapporti, creano legami di solidarietà, realizzano se stesse, costruiscono la comunità.
Ma, sviluppando la riflessione, se il nostro amore per la città è autentico, allora non possiamo non sentire il bisogno di contribuire a guarire la città dalle sue ferite e costruire la città.

a) Una città da curare.
L’attenzione alla città ci deve guidare nel saper individuare alcune ferite che l’affliggono al fine di impegnarci tutti per cercarne la guarigione.
La prima ferita da curare è la fragilità della famiglia. Constatiamo purtroppo che cresce il numero delle famiglie in difficoltà, entrando in crisi i rapporti tra i coniugi e i rapporti tra genitori e figli. Una comunità è salda, è viva ed esprime la solidarietà se alla sua base ci sono famiglie unite, salde, garantite nell’abitazione e nel lavoro, capaci di svolgere la loro insostituibile funzione personale e sociale (integrazione dei coniugi, accoglienza della vita nei suoi vari stadi, educazione dei figli, sostegno affettivo, morale e materiale dei propri membri).
Un’altra ferita, fonte di viva preoccupazione, è quella della condizione giovanile, del futuro dei nostri giovani. C’è il rischio che una esasperata e diffusa ricerca del benessere e del consumismo come unico scopo della vita porti a concentrarsi solamente sulle cose, trascurando i veri valori della persona. La ricerca di una soddisfazione immediata è assolutamente inadeguata per riempire di significato la nostra esistenza. In un vuoto di valori si può cadere facilmente in scelte evasive e distruttive quali sono la tossicodipendenza e la violenza. Le nuove generazioni hanno bisogno di essere aiutate a coltivare i veri valori come la solidarietà, l’attenzione a chi è povero, a chi ha bisogno di noi, l’amore gratuito e disinteressato, il rispetto dei diritti di tutti…
Non si può tacere, poi, un’altra ferita che ugualmente attende di essere curata. E’ quella dell’indifferenza religiosa. Come sto constatando nel corso della Visita Pastorale, nella nostra città e Diocesi si trovano esemplari testimonianze di fede vissuta nel silenzio e nell’eroismo quotidiano; ma ci sono anche situazioni che esprimono una certa indifferenza di fronte al fatto religioso. Eppure, inevitabilmente, nella vita delle persone emergono domande sul senso della vita, della morte, dell’aldilà, che non lasciano tranquilla la coscienza finchè a queste stesse domande non si è in grado di dare una risposta. Come non avvertire il bisogno, per vivere una vita sensata, di interrogarsi seriamente sul problema di Dio, della sua esistenza, della sua rivelazione, del suo amore di Padre nei nostri confronti?

b) Una città da costruire
Se la città ha bisogno di essere amata e guarita, ha anche bisogno di essere costruita. Oggi, festa del nostro Patrono, desidero riaffermare la volontà della nostra Chiesa diocesana a fare la sua parte per la costruzione di una città che sia sempre più rispondente alle esigenze delle persone.
Molte iniziative, che vanno in questa direzione, sono già in atto da parte delle nostre comunità ecclesiali. Qui desidero richiamare l’attenzione su alcuni punti qualificanti il nostro servizio che, come Chiesa, vogliamo offrire a questa città di Senigallia e alle città del territorio diocesano:
– un sostegno sempre più efficace alla famiglia, che si esprime sia sul versante della formazione dei genitori, sia su quello della vita nascente e della vita avviata al tramonto;
– l’impegno quotidiano della Chiesa sul fronte dell’educazione dei ragazzi e dei giovani. Non si può ignorare la grande risorsa educativa rappresentata dagli oratori, dalle scuole anche materne, dai campi scuola, dai luoghi e momenti di aggregazione offerti dalle realtà ecclesiali;
– un servizio generoso e capillare sul versante della carità e dell’assistenza nei confronti di ogni forma di povertà, in particolare nei riguardi di emarginati, immigrati, minori in difficoltà, portatori di handicap, disoccupati, ragazze madri, persone vittime dello sfruttamento, anziani.

Una comunità è bella se riesce a coagulare tutti i suoi membri in una serena convivenza, quasi fossero amici tra loro.
Che il Patrono San Paolino ci aiuti ad amare la città, ci aiuti a curare le sue ferite, ci aiuti a costruire tutti insieme, ciascuno secondo le sue capacità e responsabilità, un futuro di speranza e di progresso per tutti.