Omelia nelle esequie di Michele Barchiesi (Cattedrale di Senigallia, 1 luglio 2012)

Senigallia, 1 luglio 2012

Carissimi Genitori e familiari tutti di Michele, vorrei accostarmi al vostro immenso dolore con grande rispetto, con tutta la tenerezza che meritate e con tutta la solidarietà di cui sono capace. Vi confesso che faccio fatica a trovare le parole più giuste in questo momento. Ma permettetemi di venire a voi con l’abbraccio di tutti i presenti e in particolare con la preghiera di tutta la comunità cristiana.
Siamo qui radunati in questa Chiesa con tanti interrogativi per chiedere alla fede cristiana una parola di luce, una grazia di speranza, un conforto per la vita. Sentiamo dentro di noi un senso di ribellione verso il dolore, la sofferenza, l’assurdità della morte. Noi vogliamo vivere, stare insieme, volerci bene. Perché allora la morte? E perché poi una morte che improvvisamente viene a spezzare una vita nel pieno fiorire della sua giovinezza e dei suoi sogni?

Mettiamoci in ascolto della Parola di Dio: è la sola che ci può illuminare nel buio del dolore e della sofferenza.
Nella prima lettura l’autore del libro sacro dice: “Dio non ha creato la morte e non gode per la rovina dei viventi…Egli ha creato tutto per l’esistenza… Dio ha creato l’uomo per l’immortalità; lo fece ad immagine della sua natura” (Sap 1,13). Quanto è importante questa verità! Quanto è consolante, quanto è carica di speranza! Se anche la morte adesso esiste, entrata nel mondo per opera del diavolo, essa non ha l’ultima parola, non è l’ultima spiaggia, non è la destinazione finale.
Nel Vangelo (Mc 5,21-43) Gesù ci fa capire che lui è più forte della morte, ha la capacità di donare la vita. Sebbene non abbia abolito la morte, le ha dato un senso e una speranza. La figlia di Giairo, il capo della Sinagoga, era morta. Gesù si commuove e alla gente che piangeva attorno al letto della piccola defunta dice: la bambina non è morta, ma dorme. Poi la prende per mano e le dice: alzati! ed essa ritorna alla vita. Ecco che cos’è la morte per il Signore: è solo un dormire. Lui che ha conosciuto il sonno della tomba, prima della risurrezione, ci dice che anche il nostro morire è come il suo; come quello della bambina: è un dormire in attesa della risurrezione.
Noi crediamo che anche Michele, strappato da questa vita, allontanato dall’affetto di sua madre e di suo padre, della sorellina, dei nonni e degli altri familiari, separato dall’amicizia dei suoi coetanei e compagni di scuola, non è finito nel nulla. Ora riposa, in attesa della risurrezione. E insieme preghiamo, perché purificato dalle sue mancanze, il Signore lo accolga nella sua beatitudine senza fine.
Quanto vorrei che anche da questa morte imparassimo giustamente ad amare ancora di più la vita! Da quella giovanile di Michele raccogliamo l’invito a fare della nostra vita un dono da spendere per il bene degli altri. Solo così l’esistenza merita di essere affrontata anche se faticosa e vissuta con generosità.
Caro Michele, in segno di affetto vorremmo posare una nostra carezza sul tuo volto. Anch’io come vescovo, padre e pastore di questa Chiesa senigalliese, vorrei ripetere quella carezza che ti ho fatto il giorno della Cresima. Lascia che ti diciamo non addio, ma arrivederci!