Senigallia, Cattedrale Giovedì Santo 20 aprile 2000
Nei giorni scorsi, all’apice dell’evento giubilare, Giovanni Paolo II ha potuto realizzare il sogno che cullava sin dagli inizi del suo pontificato: quello di ritornare nei luoghi che hanno conosciuto l’incarnazione del Verbo e il compimento del mistero pasquale. Una delle visite più suggestive è stata quella del Cenacolo. Ed è proprio dal Cenacolo che ha indirizzato ai Sacerdoti di tutto il mondo la lettera per questo Giovedì Santo dell’anno 2000.
In questo giorno, così carico di ricordi e di mistero, noi precisamente riviviamo quanto accadde tra le mura del Cenacolo. In quel luogo Gesù ha offerto un segno supremo del suo amore: “dopo aver amato i suoi che erano nel mondo, li amò sino alla fine”. E’ così ha istituito l’eucaristia e il sacerdozio: in un contesto che porta al vertice dell’amore. Dal Cenacolo il Successore di Pietro invita noi sacerdoti a riscoprire il “dono” e il “mistero” che abbiamo ricevuto.
Nella sua infinita bontà, al di là di ogni nostro merito, attraverso l’imposizione delle mani e l’unzione del sacro Crisma, che oggi di nuovo si benedice insieme con gli altri oli, il Signore ha voluto associarci a sé, unico, sommo ed eterno Sacerdote della nuova alleanza. In lui siamo costituiti mediatori tra Dio e gli uomini. Con lui collaboriamo all’opera di redenzione dell’umanità.
Tra il sacerdozio e l’eucaristia, ricorda il Papa nella sua lettera, c’è un nesso indissolubile. Non c’è sacerdozio senza sacrificio: il sacrificio è atto sacerdotale per eccellenza. E l’eucaristia è il memoriale del sacrificio di Cristo.
“Il mistero eucaristico, scrive il Papa, è il centro del nostro ministero. Quest’ultimo non si limita certo alla celebrazione eucaristica, implicando un servizio che va dall’annuncio della Parola, alla santificazione degli uomini attraverso i Sacramenti, alla guida del popolo di Dio nella comunione e nel servizio. Ma l’eucaristia è il punto da cui tutto si irradia ed a cui tutto conduce. Il nostro sacerdozio è nato nel Cenacolo insieme con essa”.
2. In questo giorno in cui si celebra la festa del sacerdozio e dell’eucaristia, desidero rendere grazie al Signore per la presenza e il ministero di tutti voi fratelli nell’episcopato e nel sacerdozio che siete presenti e operate in questa Chiesa particolare. Esprimo la mia viva gratitudine al Signore per la presenza in mezzo a noi dei nostri venerati Padri: S.E. Mons. Fusi-Pecci, che ringrazio per la sua squisita delicatezza e disponibilità ad ogni chiamata come pure per la fulgida testimonianza di unità e di comunione che offre a tutta la nostra Chiesa; S.E. Mons. Tinti, di cui ci prepariamo a celebrare il centesimo genetliaco, riconoscenti per l’esempio di profonda pietà e di cristallina fedeltà con cui ha saputo forgiare una schiera di sacerdoti; S.E. Mons. Cecchini, a cui ci legano sentimenti di affetto e di gratitudine per il suo spirito di fede, di umiltà e di servizio alla Chiesa.
In questi tre anni del mio ministero episcopale tra voi, cari sacerdoti, ho imparato a conoscervi e ad apprezzare il vostro zelo e la vostra abnegazione. Ho potuto notare in molti la contentezza di essere preti, la gratitudine a Dio per il dono del sacerdozio, un grande amore e una grande vicinanza alla propria gente. Vi do atto di aver accolto con serio impegno e convinta adesione la scelta della missione diocesana: è la scelta che ci ha maggiormente impegnato in questi ultimi due anni in vista del Giubileo. Desidero anche ringraziarvi per aver accolto in autentico spirito di fede e di disponibilità gli avvicendamenti che l’anno scorso hanno interessato diversi di voi nel ministero pastorale: vi ringrazio per aver aiutato le comunità ad accettare tali cambiamenti come momento di crescita nella fede e nella carità anche attraverso la comprensibile sofferenza che talora essi hanno generato.
3. Certamente non mancano i problemi. Partecipando agli incontri pastorali e parlando personalmente con voi mi sembra di cogliere non di rado segni di qualche stanchezza e anche un po’ di timore di fronte a un mondo che cambia rapidamente e che appare tanto diverso da quello che era un tempo o che immaginavamo quando eravamo in Seminario. Mi sembra di percepire qua e là un senso di impotenza, di sproporzione tra i problemi e le esigenze pastorali della nostra gente da una parte e le nostre capacità o risorse umane e sacerdotali dall’altra. Sembra ad alcuni di non essere all’altezza, di essere quasi schiacciati dalle situazioni e dagli impegni, si ha l’impressione di non farcela. Dobbiamo riconoscere che ci troviamo di fronte a difficoltà reali che un tempo come il nostro pone non solo ai sacerdoti, ma a tutta la Chiesa.
Penso che nel prossimo futuro, piuttosto che assumere nuove iniziative e nuovi impegni pastorali, dovremmo limitarci a portare avanti il lavoro iniziato, dedicando maggiore attenzione ai rapporti tra noi, al presbiterio in quanto tale. Non possiamo concentrarci sul fare. L’essere, la persona, è più importante dei ruoli e delle funzioni. Dopo Pasqua e per l’immediato futuro avrei desiderio di incontrare personalmente ciascun sacerdote, dedicando a ognuno tutto il tempo necessario per l’ascolto, il dialogo, la condivisione dei problemi, delle preoccupazioni e delle speranze. Vorremmo incoraggiarci a vicenda nella sequela di Gesù Buon Pastore. In particolare dovremmo puntare di più sulla comunione: tra l’altro l’evangelizzazione non ha senso e comunque è priva di efficacia se non sgorga dalla comunione.
4. Nella prospettiva della comunione, tra qualche istante conferirò o rinnoverò il ministero ausiliario della Comunione ad alcuni fratelli e sorelle della nostra Chiesa. Li esorto vivamente ad essere consapevoli del dono che ricevono: il Signore, cari ministri della Comunione, si fa portare da voi perché voi lo portiate ai fratelli. Esercitate questo ministero con umiltà e grande senso di responsabilità in stretta, strettissima comunione con i vostri sacerdoti. Siate i primi e più diretti collaboratori dei vostri parroci: stimate, incoraggiate, aiutate con il vostro affetto e con la vostra preghiera coloro che hanno il potere e la responsabilità di rendere sacramentalmente presente il Signore Gesù nell’eucaristia per nutrire e sostenere il popolo santo di Dio.
5. Nella sua lettera ai sacerdoti il Papa rivolge loro questo invito finale. E’ un invito che vale a superare le difficoltà che inevitabilmente si presentano nella vita personale e nel ministero. Ci indica un rimedio alla nostra fragilità, sapendo bene che ogni giorno dobbiamo fare i conti con la nostra debolezza: “Abbiamo un tesoro in vasi di creta” (2 Cor 4,7). L’esortazione del Papa è rivolta ai sacerdoti, ma vale anche per tutta la comunità cristiana: “Restiamo fedeli alla consegna del Cenacolo, al grande dono del Giovedì santo. Celebriamo sempre con fervore la Santa eucaristia. Sostiamo di frequente e prolungatamente in adorazione davanti a Cristo eucaristico. Mettiamoci in qualche modo alla scuola dell’eucaristia. Tanti sacerdoti nel corso dei secoli hanno trovato in essa il conforto promesso da Gesù la sera dell’Ultima Cena, l’alimento per riprendere il cammino dopo ogni scoramento, l’energia interiore, per confermare la propria scelta di fedeltà”.
Sempre, ma soprattutto in questo anno giubilare, che vuol essere un anno intensamente eucaristico, l’anno in cui avremo anche la gioia di vedere elevato agli onori degli altari il nostro Papa Pio IX, profondamente devoto dell’eucaristia, mettiamo al centro della nostra vita l’eucaristia stessa, la Pasqua del Signore. La sua pasqua sia la nostra Pasqua.