Seconda domenica di Quaresima (8 marzo 2020)

“O Dio… hai dato a noi la grazia di camminare alla luce del Vangelo”. Nel linguaggio umano il vocabolo “grazia” appartiene al gruppo dei vocaboli che dicono la gratuità di un gesto, dicono un dono. Nella preghiera abbiamo riconosciuto che il dono (“la grazia”) che Dio ci ha fatto è quello di “camminare alla luce del Vangelo”, cioè ci è data la possibilità di camminare nella vita con una luce, quella del Vangelo. la luce del Vangelo è la buona notizia portata da Gesù, la buona notizia che è Gesù.

La gratuità di questo dono è segnalata dall’apostolo Paolo nella lettera all’amico e discepolo Timoteo proclamata nella seconda Lettura (2Tm 1,8b-10), dove parla di una “grazia che ci è stata data in Gesù Cristo fin dall’eternità”, per usare un’espressione corrente “fin dalla notte dei tempi”, quando ancora, per usare un’espressione biblica “la terra era informe e deserta e le tenebre ricoprivano l’abisso” (Gn 1,1). La segnalazione non è da interpretare semplicemente come un dato “cronologico”, ma come l’indicazione di una decisione, di un’offerta da parte di Dio non solo del tuto gratuita (perché gli uomini non erano ancora in condizione di interferire nella decisione del Dio Creatore), ma anche permanente, strutturale nell’agire di Dio: a partire da quella decisione, da quella offerta, Dio avrebbe sempre garantito agli uomini questa grazia, l’offerta del suo amore, a prescindere dal loro atteggiamento.

Proprio perché Dio ci garantisce il dono della sua grazia, del suo amore, dal quale niente e nessuna situazione o persona ci può separare (cfr Rm 8,35-39), è possibile “accettare (con serenità) nella nostra vita il mistero della croce”. Quando parliamo di “croce” non facciamo riferimento a un oggetto, il legno della croce, ma a una persona, a Gesù, che muore della morte di croce, in croce.

Nella vita di Gesù la croce non è stato un incidente di percorso (non doveva finire così, però purtroppo è andata così), ma l’approdo di un’esistenza guidata dalla fiducia nel Padre del cielo e dall’amore per gli uomini. Il percorso di vita scelto da Gesù ha scandalizzato i discepoli, in particolare Pietro, il quale, dopo aver tentato alcuni giorni prima di dissuadere Gesù ad andare a Gerusalemme (“Dio non voglia, Signore, questo non ti accadrà mai”, Mt 16,22), ora, sul monte dove Gesù viene trasfigurato davanti a lui, a Giacomo  e a Giovanni, come ci racconta il vangelo di questa domenica (Mt 17,1-9), tenta nuovamente di bloccare questo cammino (“Signore, è bello per noi essere qui! Se vuoi, farò qui tre capanne, una per te, una per Mosè e una per Elia”). Sarà la voce dal cielo, il Padre stesso, a invitare i tre discepoli, presenti sul monte, ad ascoltare il Figlio, a sollecitarli a percorrere con Gesù il cammino della croce che li condurrà alla “risurrezione dai morti”.

Accettare nella nostra vita il “mistero della croce” comporta impegnarci a condurre l’esistenza con la fiducia nel Padre e con l’amore verso gli altri, come ha fatto Gesù. E questo anche quando, come è stato per Abramo (cfr prima lettura, Gn 12,1-4a), il percorso della nostra esistenza si fa tortuoso, non del tutto chiaro nella sua destinazione in questo mondo, come sta accadendo in questi giorni, nei quali una situazione non decisa né programmata da noi, ma subita, ci chiede delle “partenze” a cui non siamo abituati e che, in altre situazioni, non avremmo deciso.

Guardiamo ad Abramo, il quale part’ dalla propria terra, luogo rassicurante per la vita sua e dei suoi cari, dove aveva costruito le sue sicurezze (affettiva, economica…), fiduciosi nei confronti di quel Signore, del cui amore possiamo fidarci, anche quando ci chiede “partenze” impegnative, ci chiede di “lasciare” qualche nostra sicurezza e di lasciarci indicare da lui altre “terre, a noi ancora sconosciute.

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