“Buon viaggio papà, questo il commiato di un figlio dal proprio padre, deceduto in questi giorni. “Ora… finalmente sono libero di volare dove voglio”, parole di una persona che aveva deciso di accomiatarsi dalla vita, che, pur apprezzata, per sua ammissione non era più nella condizione di proseguirla. “Dovunque tu sia, riposa in pace”, altre parole spesso rivolgiamo ai nostri cari che hanno concluso la loro esistenza sulla terra.
Sono parole sorprendenti, paradossali, se le pensiamo rivolte a persone che non sono più nella condizione né di viaggiare, né di volare libere dove vogliono e che “riposeranno in pace” in una tomba, luogo di morte.
Proprio perché paradossali sono parole che fanno riflettere, che inducono a porsi delle domande: si tratta di frasi fatte, degli slogan, come ne sentiamo tanti in questi tempi, oppure esprimono, a loro modo, quell’insopprimibile desiderio che la vicenda umana, nostra e delle persone amate, non si concluda tragicamente, con una resa alla morte?
Ancora: se queste e altre espressioni simili non fossero degli slogan, delle frasi fatte, ma espressione del desiderio di una vita piena e goduta per sempre, c’è una qualche possibilità di dar compimento a questo desiderio oppure dobbiamo rassegnarci a considerarlo, come spesso succede per tanti desideri nella nostra esistenza, irrealizzabile?
I discepoli di Gesù, i credenti cristiani, tra i quali ci riconosciamo anche noi, oggi celebrano Maria, assunta in cielo “in corpo e anima” (cioè con la completezza della sua persona). Questa celebrazione dice che una creatura come noi, di nome Maria, se, come ogni altra creatura, sperimenta la morte, a, differenza delle altre creature, “non conosce la corruzione del sepolcro” (come recita il Prefazio della Messa dell’Assunta), a motivo del suo legame con Gesù, il Figlio di Dio, “autore della vita”, che lei ha generato.
Sempre nella preghiera del Prefazio, Maria assunta in cielo è presentata come “segno di sicura speranza e consolazione per il popolo (per noi quindi) pellegrino sulla terra”.
Maria “non conosce la corruzione del sepolcro”, perché, come scrive l’apostolo Paolo nella Lettera ai cristiani di Corinto, proposta della seconda lettura (1Cor 15,20-27a), “Cristo è risorto dai morti, primizia (apripista) di coloro che sono morti”, perché “in Cristo tutti (noi compresi quindi) riceveranno la vita”. Proprio perché Cristo è risorto, la morte, il nemico irriducibile che continua ad aggredire la esistenza, tanto da risultare invincibile, “sarà annientato”.
Come stare di fronte a questa prospettiva che indica un felice compimento del nostro desiderio che sembra ispirare tante nostre parole di commiato dai nostri cari che ci lasciano?
Nel vangelo, appena proclamato (Lc 1,39-56), Elisabetta, dopo lo stupore iniziale per la visita imprevista della cugina Maria (“ A che cosa devo che la madre del mio Signore venga da me?”), esprime il proprio apprezzamento (“Beata”) per la sua decisione di “aver creduto nell’adempimento di ciò che il Signore le aveva detto”.
Maria, la madre del Figlio di Dio da lei generato e dal quale è stata strappata dal potere della morte perché condividesse con lui la vita piena della risurrezione nella “casa del Padre suo”, sollecita noi a credere all’adempimento di ciò che il Signore ci ha detto nelle parole di Paolo, alla promessa fatta da lui a Marta, di fronte alla tomba del fratello Lazzaro (“Chiunque vive e crede in me non morirà in eterno”, Gv 11,26).
Maria ci sollecita a vivere in questo mondo – la nostra esistenza sulla terra – rivolti ai “beni eterni”, beni che non sono delle cose, ma una persona, Gesù risorto, Figlio di Dio, “il primogenito di coloro che risorgono dai morti”, nostra speranza, perché compie quel desiderio di una vita piena e goduta per sempre che abita il nostro cuore, desiderio che nemmeno la morte riesce a spegnere.