Nella prima lettura (Dt 4,32-34.39-40) Mosè segnala al popolo d’Israele due fatti inediti nella storia dell’umanità («Interroga pure i tempi antichi, che furono prima di te, dal giorno in cui Dio creò l’uomo sulla terra e da un’estremità all’altra dei cieli, vi fu mai cosa grande come questa e si udì mai cosa simile a questa?»), che hanno come protagonisti il popolo d’Israele e il Dio che lo ha scelto e liberato dalla schiavitù in Egitto. La doppia novità è che Israele abbia potuto “udire la voce di Dio” senza perdere la vita, come si temeva a quei tempi («che un popolo abbia udito la voce di Dio parlare dal fuoco, come l’hai udita tu, e che rimanesse vico?») e che Dio si scomodasse per scegliersi un popolo tra i tanti, smentendo la universale pratica religiosa che vedeva i popoli impegnati nella ricerca di un contatto con Dio («o ha mai tentato un dio di andare a scegliersi una nazione in mezzo a un’altra con prove, segni prodigi… come fece per voi il Signore vostro Dio in Egitto, sotto i tuoi occhi?»).
A conclusione della considerazione della novità Mosè dà al popolo d’Israele due disposizioni. La prima: «Sappi dunque oggi e medita bene nel tuo cuore che il Signore è Dio lassù nei cieli e quaggiù sulla terra; non ve ne altro»; la seconda: «Osserva dunque le sue leggi e i suoi comandi». La disposizione a “osservare le leggi e i comandi” di Dio non è accompagnata, come accade solitamente, dalla minaccia di una qualche punizione, ma da una promessa («perché sia felice tu e i tuoi figli dopo di te e perché tu resti a lungo nel paese che il Signore, tuo Dio, ti dà per sempre»).
Mosè sollecita il popolo a dare fiducia, a riservare il proprio ascolto solo a questo Dio che ha infranto i tradizionali schemi dell’ universale esperienza religiosa.
Anche l’apostolo Paolo, come Mosè, nella seconda lettura (Rm 8,14-17) parla di un fatto inaudito, del tutto sorprendente: «Voi non avete ricevuto uno spirito da schiavi per ricadere nella paura, ma avete ricevuto lo Spirito che rende figli adottivi, per mezzo del quale gridiamo “Abbà! Padre!”. L’Apostolo ci ricorda che la nostra relazione con Dio non più quella di uno schiavo e il suo padrone, relazione vissuta nella paura, ma quella di un figlio con il proprio padre, che ci pone nella condizione di condividere con Gesù la sua stessa eredità (“coeredi di Cristo”).
Nel vangelo (Mt 28,16-20) Gesù, nel congedarsi dai discepoli, affida loro il compito che lui aveva ricevuto dal Padre: annunciare a tutti i popoli che suo Padre è il Dio che non solo “si è scelto una nazione in mezzo alle altre, ma che si sceglie anche tutti gli uomini, rivolge loro la parola e dona loro il suo amore, senza distinzione alcuna, in quanto li considera tutti come figli.
Il gesto che sancisce il legame nuovo tra gli uomini e Dio è il Battesimo, dato nel none stesso di Dio, che è il Padre, il Figlio e lo Spirito Santo (la Trinità).
Gesù affida alla Chiesa di ogni tempo il compito di annunciare il suo Vangelo e di condurre “tutti i popoli” a lui (“diventare suoi discepoli”). Anche a noi che viviamo in un tempo e in una cultura (quella Occidentale) che, lo dichiarano degli studiosi delle dinamiche sociali e del costume, resta totalmente indifferente di fronte a l Dio che vuole comunicare con gli uomini, che va alla loro ricerca.
Chiediamo a Dio Padre che non ci lasciamo contagiare da questa indifferenza e che sappiamo onorare, grazie all’aiuto dello Spirito Santo, il mandato di Gesù risorto di saper testimoniare con la nostra vita la sorprendente “buona notizia” (il vangelo) portata da lui, che si è fatto vicino a ciascuno uomo, che parla con tutti e ci accompagna nel cammino della vita.
Perché l’indifferenza dei molti lasci il posto allo stupore e alla meraviglia di scoprirsi destinatari della parola di Dio e suoi figli amati.