Veglia di Pentecoste (sabato 14 maggio 2016)

“Vi fu una festa di nozze a Cana di Galilea…Fu invitato alle nozze anche Gesù con i suoi discepoli”.

Gesù entra in una casa dove si sta svolgendo una festa di nozze. Si tratta di una circostanza bella, carica di promesse buone per il futuro.

L’evangelista ci informa che questa festa, preparata con cura e a lungo attesa, sta per fallire, perché “è venuto a mancare il vino”. Le anfore di pietra che erano state riempite di vino, ora sono vuote.

In una famiglia ci si dà da fare in tanti modi perché quanto è accaduto agli inizi – l’essersi fidati, accolti, consegnati l’uno all’altra – continui a essere agli occhi degli sposi “cosa molto buona”, investimento riuscito della propria vita e perché i figli, accolti come benedizione di Dio, dono dall’alto, non amareggino l’esistenza di chi li ha generati.

Eppure anche nelle nostre case il vino dell’amore che alimenta la festa, rallegra gli animi, può venire a mancare, mettendo alla prova non solo le persone, ma anche quella cosa buona che è il volersi bene tra gli sposi e la generazione dei figli. Quello che ha contribuito alla festa delle nozze – la tenerezza, la capacità di prevenire, il desiderio di attendere e ascoltare, lo sforzo di prendere il passo dell’altro/a, la gioia di ringraziare, di dire all’altro come la sua presenza è capace di riempirmi la vita, quanto sa essere quell’ “aiuto all’altezza” che il Signore mi ha presentato, la generazione di un figlio – sembra venire a mancare.

Il racconto evangelico segnala a questo punto l’intervento della madre di Gesù, che rappresenta un elemento di speranza per quella festa che sembrava irrimediabilmente compromessa, perché segnala a Gesù la situazione difficile (“non hanno più vino”), impedendo che precipiti inesorabilmente e perché offre un’indicazione preziosa sul modo di affrontarla (“qualsiasi cosa vi dica, fatela”): aver fiducia in Gesù, ascoltando la sua parola.

Quando tra due sposi sorgono difficoltà e in casa ci sono dei problemi, la tentazione è di provvedere da soli alla situazione (“non si sappia in giro”), oppure le persone sono lasciate sole. L’intervento della madre di Gesù suggerisce di cercare persone che siano in grado di rendersi conto di cosa sta succedendo, di dare un nome al disagio, alla fatica che abita in una casa; suggerisce anche di accostarci con attenzione e simpatia a chi sta facendo fatica.

Suggerisce infine ad avere fiducia in Gesù. Una fiducia che si esprime e si alimenta nell’ascolto obbediente della sua parola. Preziosa la raccomandazione di S. Paolo ai cristiani di Colossi (3,16): «La parola di Cristo abiti tra voi nella sua ricchezza (sia accolta, dimori, con tutta la sua ricchezza di senso e di potenza, nella vostra casa, il luogo della vostra stabile dimora). Con ogni sapienza istruitevi e ammonitevi a vicenda (aiutatevi con quella sapienza che proviene dalla Parola, a diventare capaci della sapienza della Parola, nel discernimento della vita).

La fiducia in Gesù è la fiducia nella grazia del sacramento ricevuto, che mette a disposizione degli sposi la benedizione di Dio, che rappresenta una riserva di grazia a cui attingere.

Fare memoria del sacramento nel momento della prova, della fatica – come suggerisce la liturgia del matrimonio: “ti cerchino nella sofferenza” – significa attingere alla grazia del sacramento, segno dell’amore fedele di Dio.

L’intervento di Gesù. Gesù dà ai servi precise disposizioni (“Riempite d’ acqua le anfore…ora prendetene e portatene a colui che dirige il banchetto”). Gesù si serve di quello che è disponibile (le anfore di pietra) di quel (troppo) poco che è rimasto (l’acqua) per proseguire la festa.

Quel che è rimasto per ridare slancio alla relazione d’amore, può apparire a due sposi insufficiente, inadeguato (“troppo poco”). Se lo tratteniamo presso di noi, non è in grado di farci fare festa, ma se lo affidiamo al Signore, lo mettiamo nelle sue mani, lo lasciamo illuminare e guidare dalla sua parola, dalla sua grazia, può diventare il “vino buono” che fa proseguire la festa dell’amore sponsale.

La “crisi” come luogo in cui può accadere il miracolo del “vino buono”, il vino della festa. Il Signore invita gli sposi a lasciarsi convocare da lui, al servizio della sua cura per gli sposi che non “hanno più vino”, perché portino in tavola il “vino buono” dell’amore sincero, fedele e paziente.

La considerazione di colui che dirige il banchetto riguardo a quanto accade di solito: la sostituzione del vino buono con cui inizia la festa (“da principio”) con un vino più scadente, che non compromette la festa, data la situazione degli invitati (“sono un po’ brilli”) e a quanto è accaduto in questo circostanza: l’offerta del vino buono che non s’interrompe (“finora”).

Gli sposi non sono sempre in grado di conservare il livello alto della festa del loro amore, delle promesse con cui si da’ inizio alla loro vicenda sponsale. Quando viene Gesù, l’invitato alle nozze, egli conserva “finora” il vino buono, quello che è offerto in abbondanza e che ridona alla vicenda sponsale il sapore della gioia senza fine.

La lettura dell’evangelista. Le nozze salvate da Gesù costituiscono l’inizio della sua manifestazione e aprono i discepoli alla fede. Quello che accade a Cana – le nozze tra un uomo e una donna che si amano – è un segno speciale, capace di dire l’inizio del ministero di Gesù e il senso della sua presenza tra gli uomini. Gesù, dicendo l’inizio del suo cammino tra gli uomini mediante il segno delle nozze, ci assicura che continuerà a trasformare l’uomo da essere “bisognoso” in un discepolo che crede, si affida e ascolta.

Quello che accade a Cana è anche segno speciale e capace di aprire la fiducia, l’amore tra gli sposi al cammino della fede, di indicare la “vita a due” come tempo propizio per imparare a credere, a fidarsi del Signore.

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