VI domenica di Pasqua (9 maggio 2021)

La richiesta al Padre nella preghiera della Colletta: «Rinnova i prodigi del tuo Spirito». Quali sono i prodigi di cui è autore lo Spirito Santo? E’ la stessa preghiera a rivelarli: «perché amando come Gesù ci ha amati, gustiamo la pienezza della gioia». Nella risposta è indicato lo stretto collegamento tra l’amore e la pienezza della gioia. A confermare il collegamento è anzitutto quanto accade nella nostra vita: noi siamo felici quando ci sentiamo amati e quando siamo in grado di amare qualcuno, di esprimere il nostro amore.
Va notato un particolare nella preghiera: la possibilità di “gustare la pienezza della gioia” è collegata non semplicemente all’amore, ma all’amare “come Gesù ci ha amato”. Il chiarimento è decisivo per due ragioni.
La prima, perché indica la “forma cristiana” dell’amare, cioè di che cosa significa e come i discepoli di Gesù si amano tra loro e amano gli altri. Riconoscere la “forma cristiana” dell’amare è necessario a fronte delle molteplici interpretazioni date in questi tempi al sostantivo “amore” e al corrispondente verbo “amare”. Tutti usiamo lo stesso vocabolo (amore) e lo stesso verbo (amare), ma non li intendiamo tutti allo stesso modo.
La “forma cristiana” dell’amore è ben chiarita nella seconda Lettura e nel Vangelo della Messa.
Nel testo della prima Lettera di Giovanni (1Gv 4,7-10), l’Apostolo, dopo aver esortato i destinatari del suo scritto (oggi siamo noi quei destinatari) ad “amarsi gli uni gli altri”, chiarisce la provenienza di questo amore («perché l’amore è da Dio») e indica nella pratica dell’amore la via della relazione con Dio stesso («chiunque ama è stato generato da Dio e conosce Dio»).
Proseguendo Giovanni rivela che Dio “ha manifestato” il suo amore in (per) noi donandoci suo Figlio («ha mandato nel mondo il suo Figlio unigenito, perché noi avessimo la vita per mezzo di lui»). Finalmente il chiarimento definitivo: noi amiamo, siamo in grado di amare, perché siamo stati amati, perché Dio ci ha preceduti nell’amare («In questo sta l’amore: non siamo stati noi ad amare Dio, ma è lui che ha amato noi»). Quindi, sembra dirci l’apostolo Giovanni, se vogliamo comprendere cosa significa, cosa implica amare, dobbiamo guardare a Dio, al suo modo di amare, al suo amore per noi.
Anche le parole di Gesù nel vangelo (Gv 15,9-17) contribuiscono a illustrare la “forma cristiana” dell’amore. Gesù non si limita a esortarci ad amare, ma ci dà una disposizione (“vi comando”): «questo è il mio comandamento: che vi amiate gli uni gli altri come io ho amato voi».
Il comandamento non fa riferimento a un generico amore, ma a quell’amore espresso da Gesù nei nostri confronti, un amore che avvia un rapporto nuovo («Non vi chiamo più servi, perché il servo non sa quello che fa il suo padrone; ma vi ho chiamato amici, perché tutto ciò che ho udito dal Padre mio l’ho fatto conoscere a voi») e che giunge fino al dono della vita («Nessuno ha un amore più grande di questo: dare la vita per i propri amici»).
Il “come” indicato da Gesù, quale misura del nostro amare, non va interpretato solo nella linea della esemplarità (“come io vi ho amato, così fate anche voi”), ma anche e soprattutto nella linea della “causalità” (“proprio perché io vi ho amato, anche voi amatevi gli uni gli altri, perché, grazie al mio amore, ne siete capaci, siete messi nelle condizioni di amare fino al dono della vostra vita”).
Alla luce di questo, il comandamento di Gesù non appare più una lesione della nostra libertà e una richiesta impossibile da onorare, ma la sollecitazione a compiere quanto siamo in grado di fare, grazie al dono di Gesù del suo amore.
La seconda ragione del chiarimento riguarda il collegamento tra l’amare come/perché Gesù ci ha amati e ci ama, con la possibilità di “gustare la pienezza della gioia”.
Il collegamento è stabilito da Gesù stesso («Vi ho detto queste cose [osservare i suoi comandamenti, in particolare il comandamento dell’amare] perché la mia gioia sia in voi e la vostra gioia sia piena [completa]»).
La vita spesso sembra smentire questo collegamento: quanta sofferenza si patisce nell’amare! Spesso si tratta di una sofferenza insopportabile, che si protrae per troppo tempo e che “costringe” a interrompere le relazioni d’amore.
Gesù ci dà il comandamento dell’amore non per schiacciarci sotto un peso insostenibile (è lui stesso a rassicurarci che il “giogo” delle sue disposizioni è “dolce e il suo peso leggero”, cfr Mt 12,20), ma perché anche noi sperimentiamo la sua gioia, quella che lui gode nell’ “osservare i comandamenti del Padre” e nel “rimanere nel suo amore” («Se osserverete i miei comandamenti, rimarrete nel mio amore, come io ho osservato i comandamenti del Padre e rimango nel suo amore»).
L’affermazione di Gesù ci suggerisce di correggere la direzione della nostra ricerca: noi cerchiamo la gioia e spesso non la troviamo, perché non è la gioia che dobbiamo cercare per prima, ma l’amore, quell’amore che ci precede, che proviene da Dio («In questo sta l’amore: non siamo stati noi ad amare Dio, ma è lui che ha amato noi») e che il Signore Gesù nutre per noi, fino al dono della sua vita e fino a offrirci il suo comandamento (la sua volontà) che ci permette di “rimanere nel suo amore”, di gustare in pienezza quella gioia che noi andiamo cercando.
Siamo in grado, ora, di comprendere i “prodigi dello Spirito” che abbiamo chiesto al Padre di rinnovare per noi: si tratta della nostra disponibilità a lasciarci amare dal Signore Gesù, ad accogliere il suo amore e il suo comandamento dell’amore, perché solo così noi potremo sperimentare nella vita, anche quando è messa alla prova, una gioia piena, compiuta, la stessa gioia di Gesù.