VII domenica Tempo Ordinario (19 febbraio 2023)

L’invito dell’apostolo Paolo ai cristiani di Corinto (cfr seconda lettura, 1Cor 3,16-23) è chiaro: prendere le distanze dalla sapienza mondana, perché agli occhi di Dio i suoi progetti risultano inconsistenti, deludenti (“vani” scrive l’Apostolo).

Nel linguaggio biblico la sapienza rappresenta l’arte di saper provvedere alla propria esistenza, di creare le condizioni perché la vita non risulti deludente.

L’apostolo motiva il suo invito con il fatto che i cristiani di Corinto ( come ogni cristiano) vivono in stretta relazione con Dio (“siamo tempio di Dio”) e con Cristo (“siamo di Cristo”).  A fondamento della sapienza di un cristiano, del suo modo di provvedere alla propria esistenza, sta, quindi, questo legame con Dio, questa appartenenza a Cristo, un legame, una appartenenza che non mortificano la vita, non la impoveriscono, ma che le acconsentono di guadagnare approdi ampi, che vanno oltre la nostra portata, inaccessibili alla sapienza del mondo.

La parola di Gesù nel vangelo (Mt 5,38-48) indica questi ampi approdi, quelli di un amore non regolato dalla sapienza mondana, quella dei pubblicani e dei pagani, i quali, denuncia Gesù, amano solo quelli che li amano a loro volta, ma dalla sapienza di coloro che si riconoscono e agiscono come figli di un Dio che “fa sorgere il suo sole sui cattivi e sui buoni e fa piovere sui giusti e gli ingiusti”.

I figli di Dio, coloro che sono di Cristo sono invitati a praticare un amore non regolato secondo la logica dello scambio (“se amate quelli che vi amano… e se salutate soltanto i vostri fratelli…”), ma gratuito, che si spinge fino a non reagire al male ricevuto con altro male, come suggerisce la legge del taglione (“occhio per occhio, dente per dente”), fino ad amare chi è loro nemico (“amate i vostri nemici e pregate per quelli che vi perseguitano”).

Anche le disposizioni del Signore a Mosè riportate dalla prima lettura (Lev 19,1-2.17-18) sono in sintonia con la parola di Gesù (“ siate santi, perché io, il Signore, vostro Dio sono santo. Non coverai nel tuo cuore odio contro il tuo fratello…non ti vendicherai e non serberai rancore…”)

La vita, le vicende della storia passata e recente, documentano che l’invito di Gesù, che la sapienza che si ispira a queste parole, sono assai impegnativi, non immediatamente alla nostra portata, tanto da indurci a ritenerle irrealizzabili.

Perché non abbandoniamo la sapienza del vangelo, la liturgia ci suggerisce di rivolgere a Dio, il Santo, il Padre di Gesù e nostro, che “nel Vangelo di Gesù suo Figlio ha rive           lato la perfezione dell’amore”, la nostra invocazione: “apri i nostri cuor all’azione del tuo Spirito, perché siano spezzate le catene della violenza e dell’odio e il male sia vinto dal bene” (dalla Colletta della Messa).

Aprire il nostro cuore allo Spirito Santo consente a Lui di “attestarci che noi siamo figli di Dio” (cfr Rm 8,16), di “ricordarci tutto ciò che Gesù ci ha detto” (cfr Gv 14,26), di abilitarci ad amare con la stessa gratuità con cui Dio ama.

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