XI domenica Tempo Ordinario (16 giugno 2024)

La richiesta avanzata al Padre, nella preghiera della Colletta, di “accogliere con fiducia e coltivare con pazienza”, il “seme del suo regno” (la sua azione amorosa e liberatrice a nostro favore), “sparso nei nostri cuori” da Lui stesso, appare quanto mai opportuna, perché fa riferimento a due atteggiamenti – la fiducia e la pazienza – particolarmente impegnativi in questi tempi.

Le nostre relazioni, più che dalla reciproca fiducia, sembrano spesso regolate dalla pretesa e dal sospetto. La pretesa di tenere tutto sotto controllo, di avere dagli altri ascolto e disponibilità a dare quanto ci attendiamo da loro. Il sospetto che gli altri non siano interessati a noi, ben disposti nei nostri confronti e, quando ci assicurano che lo sono, il sospetto (il timore) che lo siano per un proprio tornaconto.

Anche la pazienza non risulta particolarmente apprezzata (nonostante il detto popolare che la identifica come “la virtù dei forti”), per diverse ragioni. Una in particolare sembra mettere fuori gioco la pazienza, squalificandola come perdita di tempo, rinuncia ad agire: l’immediatezza del risultato garantita dai moderni strumenti comunicativi ci rende persone incapaci di attendere, di operare senza la pretesa di immediati risultati, riscontri. Non c’è più bisogno di cercare “con pazienza” un’informazione, di reperire materiale per la propria ricerca e riflessione, perché tutto ci viene offerto velocemente, in tempo reale.

Anche il nostro rapporto con il Signore soffre, a volte, di una fragile fiducia e di una mancanza di pazienza. Basta una contrarietà nella vita, una difficoltà, un accadimento negativo, per mettere in questione la nostra fiducia in Dio, nella sua buona disposizione verso di noi. Capita anche di non essere fiduciosi e pazienti di fronte all’azione di Dio nella nostra vita e in questi tempi così travagliati.

Le due parabole raccontate da Gesù nel vangelo appena proclamato (Mc 4,26-34), mentre c’invitano a non perdere la fiducia nell’azione di Dio, a saper attendere con pazienza i frutti di questa azione, ci rivelano anche le ragioni della nostra fiducia e pazienza. Gesù ci ricorda che l’azione di Dio nella storia degli uomini (la presenza del suo regno) non presenta i tratti di un avvenimento clamoroso, visibile, ma ha i tratti del seme che un contadino getta nel terreno e che “germoglia e cresce”, senza che il contadino lo possa immediatamente verificare, ma deve attendere, per la mietitura, “quando il frutto è maturo”.

Ancora l’azione di Dio nella storia degli uomini, appare spesso irrilevante, dimessa, rispetto alle tante azioni degli uomini, come “un granello di senape, che quando viene seminato sul terreno è il più piccolo di tutti i semi che sono sul terreno”. Come quel granello di senape non resta per sempre “il più piccolo”, perché “quando viene seminato cresce e diventa più grande di tutte le piante dell’orto e fa rami così grandi che gli uccelli del cielo possono fare il nido alla sua ombra”, così l’amore di Dio agisce nella vita delle persone, nella nostra storia, quando è riconosciuto, accolto, corrisposto.

L’invito delle due parabole è ad aver fiducia nell’azione dell’amore di Dio e pazienza nell’attendere i frutti di questo amore all’opera anche oggi, di questi tempi, anche quando sembra scomparire nel terreno di avvenimenti che lo nascondono o che sembrano renderlo irrilevante.

E’ a questa fiducia e pazienza che fa riferimento l’apostolo Paolo nella seconda lettura (Cfr 2Cor 5,6-10), quando scrive che noi “sempre pieni di fiducia e sapendo che siamo in esilio lontano dal Signore, finché abitiamo nel corpo – camminiamo infatti nella fede e non nella visione – siamo pieni di fiducia”.