«O Dio…donaci una rinnovata gioia pasquale…». La richiesta non riguarda semplicemente la gioia, ma una gioia nuova, non una gioia “ripetuta”, riciclata, ma “rinnovata”. La richiesta appare importante. Anzitutto perché la gioia non può essere sempre la stessa, ripetitiva, né appare scontata e, spesso, neppure alla nostra portata. Spesso sono le circostanze, gli altri a garantirci la serenità e la gioia.
Non abbiamo chiesto poi una gioia generica, ma qualificata, la “gioia pasquale”, la gioia portata da Gesù risorto, provocata dal fatto che, come scrive l’apostolo Paolo nel testo della lettera ai Romani proclamato nella seconda Lettura (Rm 8,9.11-13), Gesù “è stato risuscitato dai morti” da Dio stesso (“lo Spirito di Dio”) e che Dio non si è limitato a risuscitare Gesù dai morti, perché «darà la vita anche ai nostri corpi mortali», a noi. Risuscitando Gesù, Dio ci ha liberati dal dominio incontrastato della morte sulla nostra vita, da quella morte che è il nemico più agguerrito della nostra gioia, che appare invincibile, quando ci rapisce i nostri cari e aggredisce la nostra vita e perché rinchiude nel sepolcro ogni nostra speranza, come la pietra che chiudeva il sepolcro di Gesù.
Come la morte ci possa rubare la gioia l’abbiamo sperimentato in modo drammatico nei giorni della pandemia provocata dal corona virus. Le persone decedute in quei giorni non hanno avuto vicino i propri cari, sono morte in solitudine e le persone non hanno potuto accompagnare con le parole e i gesti affettuosi dell’amore riconoscente il tratto conclusivo della vita dei propri cari. Una solitudine che è proseguita anche nei gesti, nella preghiera dei funerali: soli i defunti e soli, nel proprio dolore, anche i loro familiari e amici.
Con la preghiera per i defunti dei giorni del covit, in questa domenica, il giorno nel quale Gesù risorto incontra i suoi amici e celebra con loro e per loro la sua Pasqua, la comunità cristiana ridice che la speranza donata dal Risorto, con la sua Pasqua, è più forte dell’aggressione della morte, testimonia che neppure la morte è in grado d’interrompere il legame dell’amore con le persone care defunte.
La nostra preghiera desidera anche consolare la sofferenza di chi ha perso i propri cari e poter ritrovare quella gioia che i discepoli in lutto provarono al vedere Gesù risorto. Ed è proprio Gesù nel vangelo (Mt 11,25-30) a offrirci un ristoro per la nostra vita: «Venite a me, voi tutti che siete stanchi e oppressi e io vi darò ristoro». Anche noi ci consideriamo destinatari dell’invito e dell’offerta di Gesù, perché anche noi ci sentiamo “stanchi e oppressi”. Quanto è successo in questi mesi ha oppresso la nostra vita, in particolare l’esistenza delle persone che hanno patito nella propria carne la malattia insidiosa, le persone che hanno perso i propri cari in circostanze che hanno reso la morte ancora più dolorosa.
Diamo fiducia a Gesù, il Figlio che con l’umiliazione della propria morte “ha risollevato l’umanità dalla sua caduta”. Accogliamo il suo invito a imparare da lui, dalla sua fiducia nel Padre (la sua umiltà), che ritroviamo nelle parole di lode, di ringraziamento rivolte a Lui («Ti rendo lode, o Padre…»), in un momento difficile e fallimentare della sua azione liberatrice, per il rifiuto dei villaggi in cui aveva predicato e operato a lungo (cfr Mt 11,20-24).