XV domenica Tempo Ordinario (10 luglio 2022)

“Concedi a tutti coloro che si professano cristiani di respingere ciò che è contrario a questo nome e di seguire ciò che gli è conforme”.

Con questa richiesta, rivolta a Dio nella Colletta della celebrazione eucaristica, riconosciamo che non basta dichiararsi cristiani, in quanto ciò che ci qualifica come tali è la nostra vita, il nostro comportamento nell’esistenza quotidiana. Abbiamo riconosciuto anche che non siamo noi a decidere ciò che è “conforme” (corrisponde, è in sintonia con) alla fede cristiana e ciò che, invece, è “contrario” (in contrasto, contraddice) con la fede che professiamo. La richiesta, quindi, appare importante, perché cii mette al riparo dalla tentazione di dare personali interpretazioni riguardo alla pratica della fede cristiana.

Proprio la parabola del “buon Samaritano” (Lc 10,17-35), con la conclusione di Gesù, ci consente di comprendere ciò che è “conforme” alla fede cristiana e ciò che invece non lo è. Un dottore della Legge con la propria domanda, rivolta a Gesù (“cosa devo fare per ereditare la vita eterna?”), ispirata dall’intenzione di metterlo in difficoltà (“per metterlo alla prova”), praticamente chiede quale comportamento risulta in sintonia con la fede che gli può garantire ciò che gli sta a cuore (“la vita eterna”).

Gesù con la sua iniziale risposta non rinvia il dottore della Legge a se stesso (“cosa pensi tu, che cosa ritieni giusto?”), ma alla Legge che riferisce le disposizioni di Dio (“cosa sta scritto nella Legge?”). Il rinvio alla Legge sancisce il riconoscimento del decisivo apporto che la Legge offre al conseguimento di una vita piena, perché la sottrae alla “dittatura” del desiderio che non tollera alcun limite e che, per questo, tenta in ogni modo di “screditare” la legge come nemica, ostacolo della nostra libertà.

Con il successivo racconto parabolico Gesù chiarisce chi è quel “prossimo da amare come se stesso” sancito dalla Legge e riconosciuto dal suo interlocutore.

Dalla parabola emerge che “prossimo” è quel Samaritano, che a differenza del sacerdote e del levita, si è fermato a soccorrere l’uomo aggredito e derubato dai malviventi. “Prossimo” è quella persona, sono quelle persone, che non solo vedono la sofferenza di una persona, ma che decidono di prendere l’iniziativa di un soccorso, di un aiuto.

A rendere ancora più sorprendente la risposta del dottore della Legge (“Chi ha avuto compassione di lui”), alla domanda di Gesù (“Chi di questi tre ti sembra sia stato prossimo di colui che è caduto nelle mani dei briganti?”) è il fatto che la persona che ha soccorso l’uomo ferito – un Samaritano – non solo non era un suo parente, ma addirittura non apparteneva al popolo d’Israele, anzi era considerato un avversario; quindi non era tenuto a osservare la Legge che prescriveva di amare, di aiutare chi apparteneva al tuo popolo (il tuo prossimo).

Gli altri due protagonisti invece, che alla vista del malcapitato, non si erano fermati a soccorrerlo, erano impegnati dalla Legge a soccorrerlo. Queste due persone poi provenivano da Gerusalemme, dove, in considerazione del loro compito – uno era sacerdote, l’altro levita – avevano probabilmente officiato nel Tempio, dove era stata proclamata la Legge, la parola di Dio e dove avevano rivolto a Dio la preghiera anche a nome del popolo.

Nella definitiva risposta alla domanda del suo interlocutore (“che cosa devo fare per ereditare la vita eterna?”), Gesù lo invita ad agire come ha agito il Samaritano (“Va’ e anche tu fa’ così”), il quale è andato oltre “i confini” che avrebbero limitato il soccorso all’uomo ferito, perché a convincerlo a interrompere il suo viaggio per prendersi cura di quella persona con competenza e con generosità di tempo e di risorse, non è stata l’appartenenza etnica né religiosa, ma il suo cuore capace di “compassione” (“passandogli accanto, lo vide e ne ebbe compassione”).

A differenza del sacerdote e del levita, per i quali non solo l’appartenenza etnica, ma nemmeno l’incontro con Dio nel Tempio, l’ascolto della sua parola, li aveva convinti a fermarsi, a “diventare prossimo, vicini” della persona massacrata dai briganti.

Il dialogo tra Gesù e il dottore della Legge ci indica con chiarezza ciò che è conforme e ciò che è contrario alla fede che diciamo di professare e che di questi tempi, ci sentiamo impegnati a ribadire e a difendere: quando diventiamo prossimo, ci avviciniamo e ci prendiamo cura di chi giace ferito, percosso, “ai bordi della strada” della vita, senza prima verificare se appartiene al nostro popolo, senza restringere i “confini” della prossimità solidale, alla nazione e alla stessa appartenenza religiosa.

L’invito di Gesù, rivolto a ciascuno di noi, personalmente (“Va’ e anche tu fa’ così”) è ad agire come il Samaritano (che si lascia muovere dalla compassione) e non come il sacerdote e il levita, fedeli esecutori del culto a Dio, ma dal cuore impermeabile alla sofferenza degli altri.