XV domenica Tempo Ordinario (14 luglio 2024)

Due le richieste a Dio Padre nella preghiera della Colletta: la prima: «donaci di non aver nulla di più caro del tuo Figlio»; la seconda: «colmaci del tuo Spirito». Entrambe le richieste sono motivate.

La prima: il Figlio rivela al mondo il mistero dell’amore del Padre e la vera dignità dell’uomo; la seconda: il dono generoso dello Spirito (“colmaci del tuo Spirito”) ci consente di annunciare il mistero dell’amore del Padre e la dignità dell’uomo, “con la fede e con le opere”.

I testi della parola di Dio (la seconda lettura e il vangelo) ci consentono di comprendere la portata di queste richieste.

L’apostolo Paolo nella lettera agli Efesini (Ef 1,3-14) parla di un” disegno di amore della volontà”  (il desiderio) di Dio che riguarda l’intera umanità, ancora prima che questa faccia la sua comparsa sul terra (“prima della creazione del mondo”). Quella dell’Apostolo è una parola di benedizione (“Benedetto Dio, padre del Signore nostro Gesù Cristo”).

Dio desidera amarci come figli, proprio come Gesù, il “Figlio amato” (“ci ha predestinati a essere per lui figli adottivi mediante Gesù Cristo, secondo il beneplacito della sua volontà”). L’Apostolo riconosce che questo disegno rappresenta una “benedizione” per noi (“ci ha benedetti con ogni benedizione spirituale nei cieli in Cristo”).

Quello di Dio è un disegno che non è rimasto nel cassetto, come accade spesso ai nostri progetti; è un desiderio che non resta frustato dai tanti ostacoli che gli uomini continuano a opporre al Padre, perché è proprio Gesù, il Figlio amato, che se ne fa carico con la sua stessa vita (“mediante il suo sangue abbiamo la redenzione, il perdono delle colpe, secondo la ricchezza della sua grazia”).

Il disegno di Dio, ci ricorda ancora Paolo, rappresenta il sicuro investimento per la nostra vita, quella che stiamo conducendo ora e quella che ci attende in futuro, perché tutto è “ricondotto” a Cristo, è nelle sue mani e perché quello che ci attende (“la completa redenzione”) ci è dato come anticipo (“caparra della nostra eredità”).

Questo disegno che riguarda l’intera umanità costituisce la dignità di ogni persona. Parlare di dignità significa far riferimento al valore, al bene che ogni persona rappresenta e, quindi, al rispetto che è dovuta a ogni persona. Non sono le condizioni in cui una persona si trova a fondare la sua dignità (come oggi si tende a pensare, quando ci si chiede, per esempio, se c’è ancora dignità in una vita irrimediabilmente compromessa da una malattia devastante), ma, questo è quanto la parola della fede ci suggerisce, il fatto che ogni persona, a prescindere dallo stato in cui si trova o da quello che compie, è amata da Dio. Questo rappresenta lo specifico contributo che la fede offre al riconoscimento della dignità di una persona.

Gesù, il “Figlio amato”, ci ha fatto conoscere il disegno di Dio Padre, il suo desiderio, ha dato la propria vita perché questo desiderio avesse compimento nell’esistenza di ogni uomo e di ogni donna che abita la terra.

Nel vangelo appena proclamato (Mc 6,7-13) Gesù  chiede ai suoi discepoli, quindi, a ciascuno di noi, di far conoscere questo disegno buono, di consentire al Padre di realizzare il suo desiderio, con le opere di un’esistenza che si fa carico soprattutto di quelle situazioni dove la vita è ferita e quello che accade colpisce la dignità e la speranza delle persone.