La nostra richiesta al Padre, nella preghiera della Colletta, della “forza e della pazienza del suo amore”, è motivata dal desiderio che la sua parola, “seme e lievito del regno, fruttifichi in noi e ravvivi la speranza di veder crescere l’umanità nuova”.
La parabola del grano buono, seminato dal contadino (“il Figlio dell’uomo”) e della zizzania (il seme della zizzania è leggermente velenoso. Consumato provoca un certo malessere e ha effetti simili a quelli dei narcotici. La farina di zizzania ha un gusto amaro e sgradevole; il suo consumo prolungato può danneggiare la vista), seminata dal nemico (“il diavolo”), presenta una situazione che può mettere alla prova “la speranza di veder crescere l’umanità nuova”.
Nella storia degli uomini e nella nostra vicenda personale il seme buono del bene e il male della zizzania coabitano, tanto che, a volte, è difficile distinguerli con chiarezza e, quando questo è possibile, appare problematico e anche al limite delle nostre possibilità, prendere le distanze dal male, estirparlo dal nostro cuore e dalla storia degli uomini.
La risposta del contadino (il Figlio dell’uomo) ai servi (noi credenti) che si erano resi disponibili a intervenire per estirpare la zizzania («vuoi che andiamo a raccoglierla»), non va interpretata come un disinteresse del Figlio dell’uomo nei confronti della nostra vita, della storia degli uomini, minacciate dalla zizzania del male.
La chiave di comprensione del comportamento del Signore ce la offre la prima lettura, tratta dal libro della Sapienza (12,13.16-19) che spiega come considerare la “forza e della pazienza dell’amore di Dio”.
Dio ha pazienza nei confronti degli uomini, una pazienza che assume i tratti della mitezza, che non va interpretata come debolezza o impotenza, ma come volontà e capacità di dominare la propria potenza, di addomesticarla, di orientarla («La tua forza infatti è il principio della giustizia, e il fatto che sei padrone di tutti, ti rende indulgente con tutti…Padrone della forza, tu giudichi con mitezza e ci governi con molta indulgenza, perché, quando vuoi, tu eserciti il potere»).
Una mitezza che appare anche come rifiuto di ogni esclusione, di ogni giudizio sommario, senza scampo, come capacità di convivere con il negativo, come compassione, indulgenza («Hai compassione di tutti, perché tutto puoi, chiudi gli occhi sui peccati degli uomini, aspettando il loro pentimento. Tu infatti ami tutte le cose che esistono e non provi disgusto per nessuna delle cose che hai creato…Tu sei indulgente con tutte le cose, perché sono tue, Signore, amante della vita»).
La pazienza di Dio si esprime anche come attesa dei tempi dell’uomo; Dio aspetta il suo pentimento («Con tale modo di agire…hai dato ai tuoi figli la buona speranza che, dopo i peccati, tu concedi il perdono»).
Rassicurati da questa parola possiamo agire. Nella nostra vita e nella storia degli uomini, rafforzati nella speranza che la zizzania del male non riuscirà a soffocare il seme buono del bene né potrà impedire il sorgere di una umanità nuova.