XVII domenica Tempo Ordinario (24 luglio 2022)

Ci accostiamo al vangelo, appena proclamato (Lc 11,1-13), ponendoci alcune domande: perché pregare? quando pregare? come pregare?.

La risposta a queste domande ci consente di riconoscere il ruolo della preghiera nella nostra vita di credenti, di discepoli di Gesù e di valutarne la qualità.

Le prime due domande – perché pregare e quando pregare? – sono strettamente collegate. Normalmente noi preghiamo, mi riferisco soprattutto alla preghiera personale, quando abbiamo delle richieste da fare al Signore. Le richieste più presenti nella nostra preghiera fanno riferimento a condizioni concrete della nostra vita (salute, problemi economici e/o relazionali…); raramente facciamo richieste riguardanti il cammino di fede, soprattutto quando la nostra fede è messa alla prova dalla vita.

L’introduzione del brano evangelico appena proclamato ci suggerisce un motivo per pregare, più ampio delle nostre necessità: i discepoli di Gesù pregano perché Gesù prega. Se Gesù, il Figlio di Dio, prega, significa che questa azione è importante, decisiva, nel nostro cammino di discepoli, come lo è stato nella vita di Gesù. E’ proprio l’evangelista Luca a segnalare che Gesù affronta nella preghiera i passaggi significativi della sua esistenza, a partire dal battesimo al Giordano (3,21-22), in avvio del suo ministero, fino alla croce, con le sue ultime parole rivolte al Padre (23,44.46).

Scorrendo la preghiera che Gesù suggerisce ai discepoli, in risposta alla loro richiesta (“insegnaci a pregare”) e che probabilmente era la stessa preghiera che lui rivolgeva spesso al Padre, in apertura troviamo un appellativo che riconosce Dio, a cui ci rivolgiamo, come Padre, cioè come una persona che si occupa di noi, che si prende cura della nostra vita. Il riconoscimento di Dio come Padre, qualifica (dovrebbe qualificare) la nostra preghiera come gesto di fiducia, di affidamento, che ci mettono al riparo dalla fretta di avanzare subito richieste personali, per le proprie necessità e ci consentono di chiedere quanto sta a cuore a Dio Padre: che “sia santificato il tuo nome” (cioè tu sia riconosciuto come Padre che si prende cura dei propri figli”) e che “venga il tuo regno” (cioè sia riconosciuta e accolta la tua azione liberatrice a favore degli uomini, di tutti gli uomini).

Il seguito dell’insegnamento chiarisce come pregare, con quale atteggiamento rivolgere la nostra preghiera al Padre. Se una persona, come segnala la parabola raccontata da Gesù (11,5.8), cede all’insistente, ma anche inopportuna per l’orario (“a mezzanotte”), richiesta di un amico (“prestami tre pani”), più per fronteggiare l’invadenza dell’amico che a motivo dell’amicizia tra i due, non è questo il comportamento di Dio, dato che, non solo non si sottrae alle richieste dei suoi figli (“chiunque chiede riceve e chi cerca trova e a chi bussa sarà aperto”), ma desidera “dare lo Spirito Santo a chi glielo chiede”).

Dalle parole di Gesù che invitano a chiedere con fiducia riceviamo la risposta all’ultima domanda – come pregare?. Si tratta di pregare con fiducia, d’insistere nella nostra preghiera , non a motivo del timore che Dio Padre risulti reticente alle nostre richieste, ma per la fiducia che abbiamo in lui, riconosciuto come Padre insuperabile nel dare ai figli le cose veramente buone, quelle di cui realmente bisogno.

Il riferimento di Gesù allo Spirito Santo ci fa comprendere che proprio dello Spirito Santo che abbiamo realmente bisogno per condurre un’esistenza da figli amati dal Padre e che amano il Padre, come abbiamo riconosciuto nella richiesta avanzata al Padre nella preghiera della Colletta: “donaci il tuo Spirito, perché invocandoti con fiducia e perseveranza, come egli (Gesù) ci ha insegnato, cresciamo nell’esperienza del tuo amore”.