Se il Signore rivolgesse a ciascuno di noi personalmente l’invito fatto al giovane Salomone, che stava per assumere il governo del suo popolo («Chiedimi ciò che vuoi che io ti conceda?», 1Re3,5.7-12), che richieste faremmo? Avanzeremmo anche noi la stessa richiesta di Salomone («Concedi al tuo servo un cuore docile»), un cuore “saggio e intelligente”, capace di giustizia, di distinguere il bene dal male”, in grado di governare quel “popolo” impegnativo che siamo noi stessi, con i nostri bisogni, i nostri desideri, i nostri progetti? Riconosceremmo anche noi, come il giovane Salomone, che “non sappiamo regolarci” riguardo alla vita, anche se la frequentiamo da molti anni?
Una prima risposta la possiamo ricevere già da quello che normalmente chiediamo al Signore nella preghiera, perché da quello che chiediamo al Signore possiamo riconoscere quei beni che ci stanno veramente a cuore, che riteniamo indispensabili per la nostra vita. È abbastanza agevole identificarli: in cima alla lista troviamo quei beni universalmente riconosciuti come fondamentali: la salute, nostra e delle persone care, un’esistenza serena, sicura, nostra e delle persone care. Troviamo poi le richieste che riguardano le emergenze della nostra vita, i problemi, le difficoltà, le aspettative.
Abbiamo mai chiesto al Signore un “cuore saggio e intelligente”, un cuore capace, come abbiamo chiesto nella preghiera della Colletta, di «apprezzare fra le cose del mondo (i beni che riteniamo decisivi per la nostra esistenza) il valore inestimabile del suo regno», perché siamo capaci (liberi) di «ogni rinuncia per l’acquisto del suo regno»?
Come hanno agito il contadino e il mercante di perle preziose, di cui ci parla Gesù nel vangelo (Mt 13,44-46), i quali non hanno esitato a “vendere tutti i propri averi” il primo, per entrare in possesso del campo in cui giaceva il tesoro che aveva scoperto, il secondo, per comprare la “perla di grande valore” che finalmente aveva trovato.
Nella valutazione del contadino e del mercante di perle hanno contato di più un tesoro e una perla di grande valore rispetto a tutti i loro averi.
E noi in che considerazione teniamo il dono di Dio, il tesoro, la perla preziosa del suo Regno rispetto ai beni che possediamo o cerchiamo di possedere, rispetto alle “cose del mondo”?
Ma, in che cosa consiste il dono di Dio, il suo Regno, che nella valutazione di Gesù rappresentano il tesoro prezioso e la perla di grande valore?
Del dono di Dio ce ne parla anzitutto la preghiera della Colletta, dove abbiamo riconosciuto che il Padre “ci ha rivelato in Cristo, il tesoro prezioso e la perla di grande valore”. E’ lo stesso Gesù il “tesoro prezioso” e la “perla di grande valore” che il Padre ci vuole donare.
L’apostolo Paolo, nel testo suggestivo e rasserenante della seconda Lettura (Rm 8,28-30), ci dice che Dio, il Padre di Gesù, si occupa di noi, perché in tutto quello che accade nella vita, nei nostri desideri, progetti e decisioni, non venga meno quel bene che lui ha in serbo da sempre per noi: che anche noi, al pari di Gesù, “il Figlio suo”, ci sentiamo amati come figli.
L’Apostolo ci assicura che Dio Padre è determinato nel portare a compimento la sua decisione, nell’offrirci il suo dono, qualunque cosa accada.
Di fronte a questo tesoro, al bene che Dio ha preparato per noi, ci sentiamo tutti, giovani e meno giovani, come il ragazzo Salomone, in difficoltà a riconoscere e apprezzare colui (Gesù) che rappresenta veramente il tesoro prezioso, la perla di grande valore, per la nostra esistenza, perché tante e seducenti appaiono ai nostri occhi “le cose del mondo”, soprattutto di questi tempi, nei quali “le cose del mondo” esercitano, anche sui discepoli di Gesù, un grande fascino, un irresistibile potere seduttivo.
Per questo abbiamo chiesto, ed è saggio continuare a chiedere, al Padre, “fonte della sapienza”, il “discernimento dello Spirito” che ci consenta di “apprezzare fra le cose del mondo il valore inestimabile del suo regno (Gesù)” e la libertà (“pronti ad ogni rinuncia”) che ci permette di “acquistare il suo dono”.