XVII domenica Tempo Ordinario (28 luglio 2024)

L’orazione che precede la proclamazione della parola di Dio e ne offre la chiave interpretativa ci ricorda perché siamo qui, perché celebriamo l’Eucaristia.

Siamo qui perché il Padre ci ha chiamati (invitati) “a condividere il pane vivo disceso dal cielo”. “Il pane vivo disceso dal cielo” è Gesù. Quindi siamo qui per “condividere”, per partecipare insieme a questo dono che Dio Padre, che Gesù, ci fanno: il pane del loro amore, di un amore che ci è necessario, come è necessario il pane, per vivere, per non venir meno nella nostra vita.

Siamo qui anche per imparare a condividere, per diventare persone che sanno condividere, che non trattengono tutto per se stesse. Questo è il senso della richiesta che abbiamo fatto al Padre nell’orazione: «aiutaci a spezzare nella carità di Cristo anche il pane terreno, perché sia saziata ogni fame del corpo e dello spirito».

Il racconto del vangelo (Gv 6,1-15) parla di Gesù che riesce a sfamare una folla enorme di persone, superando lo scetticismo di Filippo («Duecento denari di pane non sono sufficienti neppure perché ognuno possa riceverne un pezzo”. Duecento denari era una somma considerevole, corrispondeva allo stipendio di 200 giorni di lavoro di un bracciante a giornata;  con quella somma si potevano acquistare circa 1200 kg di pane) e di Andrea («C’è qui un ragazzo che ha cinque pani d’orzo e due pesci; ma che cosa è questo per tanta gente?»).

Gesù il miracolo di sfamare una folla numerosa non lo compie da solo, ma chiede la collaborazione, la disponibilità di un ragazzo. Questi non trattiene per sé le risorse di cibo che aveva, cinque pani d’orzo e due pesci. Quanto il ragazzo possiede non è in grado di sfamare tutte quelle persone che avevano cercato Gesù. Tuttavia quel poco cibo, affidato a Gesù, consegnato nelle sue mani, compie il “miracolo” non solo di sfamare la folla, ma anche di avanzare.

Il gesto del ragazzo dice la sua libertà e la sua fiducia. La libertà dal proprio bisogno (questi pani e questi pesci servono a me), dalla paura (se mi privo del mio cibo non l’ho più per me). La fiducia in Gesù (quello che consegno a Lui non va perso, servirà a qualcosa, non m’impoverisce, mi verrà in qualche modo restituito).

Gesù continua ancora oggi a compiere i suoi miracoli, non da solo, ma chiedendo la nostra collaborazione, la nostra disponibilità, la stesse che ha chiesto quel giorno al ragazzo. Anche noi come quel ragazzo possediamo limitate risorse, insufficienti da sole a sfamare il bisogno di vita, di felicità nostro e di tante persone.

Il ragazzo del vangelo ci invita a non assecondare esclusivamente il nostro bisogno, a non ascoltare le nostre paure, a fidarci di Gesù, mettendo a sua disposizione le limitate risorse della nostra umanità.