La parola di Dio di questa domenica fa riferimento a due situazioni che non godono il nostro apprezzamento, anzi sono considerate situazioni da evitare o da rimuovere.
L’autore della Lettera agli Ebrei (12,5-7.11-13) invita i destinatari dello scritto, oggi noi che abbiamo ascoltato la sua parola, a “non perdersi d’animo quando si è ripresi dal Signore”. Il riferimento è alla correzione che, come ogni correzione – ammette l’Autore – “sul momento… non sembra causa di gioia”. Che una correzione non procuri immediatamente gioia lo conferma la vita: quando qualcuno ci coregge, ci fa notare un nostro errore, un nostro modo di agire che non apprezza, la nostra prima reazione è quella del fastidio, della difesa, del rammarico e, spesso, del risentimento. Diverse le ragioni della nostra reazione: perché riteniamo ingiusta la correzione, perché temiamo di perdere la stima, la fiducia degli altri, perché sospettiamo un non benevolo atteggiamento nei nostri confronti, perché rivendichiamo la libertà, insindacabile, di agire come meglio riteniamo.
L’autore della Lettera c’invita a non cedere allo sconforto quando Dio ci riprende, a volte con una certa “ruvidezza”, “perché il Signore corregge colui che egli ama e percuote chiunque riconosce come figlio”. Come dire: a muovere il Signore nel correggerci non è l’irritazione per il nostro comportamento, né la rivalsa contro di noi, nemmeno la volontà di metterci a disagio, ma l’amore di un padre che si prende cura dei suoi figli e non si rassegna alla deriva di una libertà che induce all’errore. Tener presente questo quando ci sentiamo corretti da Dio, ci “arreca un frutto di pace e di giustizia”.
Nel vangelo (Lc 13,22-30) Gesù, rispondendo alla domanda di un tale (“sono pochi quelli che si salvano?”) parla di una “porta stretta” da attraversare con impegno per accedere alla salvezza, cioè alla comunione piena e definitiva con lui. Una porta stretta crea disagio perché limita, rallenta, i movimenti, impone di portare con noi l’essenziale.
Viviamo in un tempo in cui tutto ciò che limita, crea ostacolo ai propri desideri, o, come più frequentemente si dice, ai propri diritti, è considerato intollerabile, fastidioso, (come lo è una “porta stretta”). Anche noi discepoli del Signore spesso restiamo contagiati da questa intolleranza.
Gesù propone l’immagine della porta stretta, che a un certo punto sarà chiusa dal padrone di casa, per richiamare l’attenzione a come dobbiamo stare di fronte alla destinazione definitiva della nostra esistenza (“sforzatevi di entrare per la porta stretta”). Oltre a richiamare l’attenzione Gesù intende correggere una pretesa, una rivendicazione da parte nostra nei suoi confronti (“Signore, aprici!”), sostenuta da ragioni esibite di fronte alla sua risposta negativa (“Non so di dove siete”). La riposta del padrone di casa (del Signore) è significativa, perché non dirà: “è troppo tardi, la porta è già chiusa, dovevate muovervi prima”, ma “non so di dove siete, non vi conosco”. In questione non è la porta chiusa o aperta, ma la relazione con il Signore, se Lui ci conosce o non ci conosce.
E il Signore non cambierà risposta, anzi sarà ancora più severa (“Voi non so di dove siete. Allontanatevi da me, voi tutti operatori di ingiustizia!”), di fronte al tentativo di documentare una certa familiarità (“Abbiamo mangiato e bevuto in tua presenza e tu hai insegnato nelle nostre piazze”).
Con l’invito a impegnarci (“sforzatevi”) a passare per la porta stretta, Gesù ci ricorda con chiarezza che non basta chiamarlo per nome, invocarlo (“Signore!), né frequentarlo – nella preghiera, nelle Messe, nell’ascolto della sua parola – se tutto questo non ci rende familiari, conosciuti a lui, se non cambia realmente il nostro cuore, il nostro modo di pensare, se non modella la nostra vita sulla “porta stretta” di quanto lui ci insegna con il suo Vangelo e con la sua vita.
Perché anche noi un giorno non ci sentiamo ripetere dal Signore che risultiamo degli sconosciuti e non veniamo allontanati come “operatori di ingiustizia” chiediamo con insistenza al Signore di aiutarci ad “amare quanto lui prescrive” e di “desiderare quanto lui promette”, perché i nostri cuori non si lascino attrarre dalle porte larghe dell’egoismo, di un modo di valutare persone e cose, di uno stile di vita mondani, ma restino saldi “là dove è la vera gioia”, anche quando ci sarà chiesto di attraversare qualche “porta stretta”, porte che però ci conducono allo spazio senza confini della vita risorta.