XXXIII domenica Tempo Ordinario (14 novembre 2021)

La parola di Dio che abbiamo ascoltato ci sorprende per l’accostamento di situazioni contrastanti: il profeta Daniele, nella prima Lettura (Dn 12,1-3), parla di “un tempo di angoscia, come non c’era stata mai dal sorgere delle nazioni” e precisa che proprio “in quel tempo sarà salvato” il popolo che Dio ha a cuore, con “coloro che avranno indotto molti alla giustizia”.

Nel vangelo (Mc 13,24-25) Gesù sorprende ancora di più, quando, dopo aver segnalato che “il sole si oscurerà, la luna non darà più la sua luce, le stelle cadranno dal cielo e le potenze che sono nei cieli saranno sconvolte” annuncia la venuta del Figlio dell’uomo “sulle nubi con grande potenza e gloria”, che darà mandato ai suoi angeli di “radunare i suoi eletti” da ogni angolo della terra” (cfr Mc 13,24-27). E, dopo il suo racconto, Gesù invita all’attesa e alla vigilanza (“imparate…sappiate”), raccontando la parabola del fico: come i suoi nuovi germogli segnalano l’arrivo dell’estate, così i discepoli, quando vedranno i segni premonitori di cui Gesù aveva parlato in precedenza (guerre, persecuzioni, una grande tribolazione) sappiano che la sua venuta è vicina, è alle porte. Assicura i suoi uditori che le sue parole, a differenza del  “cielo” e della “terra”, destinati a scomparire, “non passeranno mai”.

L’affermazione conclusiva (“Quanto però a quel giorno e a quell’ora, nessuno lo sa, né gli angeli del cielo né il Figlio dell’uomo, eccetto il Padre”) è un invito a non indagare sull’ultimo giorno e sull’ultima ora, perché questi sono noti solo al Padre. Lo scopo dell’affermazione, nel contesto di tutto il discorso di Gesù, non è quello di evidenziare l’ignoranza del Figlio, ma di invitare alla vigilanza, dato che non è possibile preventivare quel giorno e quell’ora.

Dalla parola di Gesù emerge che il futuro dell’umanità e il nostro personale non è un futuro di distruzione, di morte, ma di vita, attorno a Gesù e che con la venuta del Figlio dell’uomo – Lui stesso – la storia raggiunge il suo compimento, il suo significato ultimo.

A garantire questo futuro non sono le previsioni di qualche indovino o veggente, ma la parola stessa di Gesù, una parola affidabile, perché a differenza di altre parole e del stesso mondo, non verrà meno («Il cielo e la terra passeranno, ma le mie parole non passeranno»). Lo è anche la parola del Samo 15, proposto come salmo responsoriale: «Signore…nelle tue mani è la mia vita…anche il mio corpo riposa al sicuro, perché non abbandonerai la mia vita negli inferi, nel ascerai che il tuo fedele veda la fossa…mi indicherai il sentiero della vita»

A garantire l’affidabilità della parola di Gesù sono l’offerta della propria vita che lui stesso ha fatto per noi per “eliminare” i nostri peccati (cfr Eb 10, 11-14, seconda lettura) e il Padre stesso, che resta fedele al disegno buono che aveva nel cuore, prima ancora della creazione del mondo, ,quello cioè che tutti gli uomini e le donne fossero amati da Lui quali figli, come da sempre è amato da Lui Gesù, il Figlio.

A motivo di questo il non conoscere i particolari del nostro futuro non deve inquietarci, perché questo futuro è in mani buone, quelle di un Dio che intende onorare la sua promessa di dare cose buone ai suoi figli e quelle di Gesù che non vuole perdere nessuno di quelli che il Padre gli ha affidato.

Come vivere allora i nostri giorni, “mentre attendiamo la gloriosa manifestazione” di Gesù, il Figlio di Dio?

La risposta ci è suggerita dalla nostra stessa richiesta, rivolta a Dio nella preghiera della Colletta: «accresci in noi la fede, ravviva la speranza e renderci operosi nella carità, mentre attendiamo la gloriosa manifestazione del tuo Figlio».