XXIII domenica Tempo Ordinario (4 settembre 2022)

Le parole di Gesù nel vangelo (Lc 4,31-37) rivelano la sua grande lealtà nei nostri confronti, il profondo rispetto delle nostra libertà. Gesù non fa alcuna pressione per averci tra i suoi discepoli (“se uno viene a me”, come a dire “se uno prende la decisione di stare con me, di seguirmi, di condividere la mia vita, di dare ascolto alla mia parola”). Proprio perché non ossessionato dal numero dei discepoli (nel linguaggio moderno, diremmo, dei fans, dei sostenitori che lo osannano, lo applaudono sempre e comunque), Gesù non fa promesse seducenti, immediatamente realizzabili, non maschera la serietà delle sue richieste, non nasconde quanto è impegnativo l’esercizio della libertà nei suoi confronti.

Anzi, a prima vista, sembra che Gesù sia più interessato a scoraggiare le superficiali adesioni, prese senza la consapevolezza della posta in gioco né senza valutare le risorse della propria libertà.

Cosa vuol farci comprendere Gesù con le sue parole? Gesù connette la decisione di seguirlo all’amore per lui che rivendica un “di più” (“Se uno viene a me e non mia ama più di quanto ama…”) rispetto all’amore per le persone più care, come i propri familiari e rispetto perfino alla cura della propria vita.

Chiarisce, inoltre, che la sua sequela richiede ai discepoli di “portare la propria croce”, cioè di condividere la sua scelta di amare, di prendersi cura delle persone, fino a dare la propria vita sulla croce.

Gesù è consapevole che le condizioni indicate per seguirlo sono impegnative; per questo invita, con le due brevi parabole, della costruzione di una torre e dei preparativi per una guerra, a “sedersi e a valutare” le possibilità di successo della decisione.

Nella sua conclusione applicativa delle parabole Gesù non fa riferimento alla verifica delle risorse disponibili, di ciò che si possiede, ma a ciò che si è disposti a lasciare per seguirlo (“Così chiunque di voi non rinuncia a tutti i suoi averi, non può essere mio discepolo”). Nei propri averi da lasciare va inclusa la fiducia esclusiva in se stessi, nelle proprie capacità di provvedere (salvare) la vita.

Quello che Gesù chiede non è un lasciare fine a se stesso, ma motivato dal riconoscimento che lui è in grado di provvedere meglio di noi stessi, delle nostre risorse, delle nostre capacità, alla vita.

Le parole di Gesù sono un appello alla nostra libertà, perché nel decidere come provvedere alla vita, a chi dare piena fiducia, riconosciamo lui come Salvatore affidabile, più di ogni altro.

Dobbiamo ammettere che ci troviamo in difficoltà di fronte alle parole di Gesù. Anzitutto perché parlano di una scelta che appare costosa, insostenibile in tempi come i nostri del possedere “tutto” e “subito”: “rinunciare” a molto (“tutti i propri averi”) per  lui (“diventare suoi discepoli”).

A rendere ancora più impegnativa l’adesione all’invito di Gesù sono come segnala la prima Lettura, tratta dal libro della Sapienza (9,13-18), i nostri ragionamenti “timidi e incerte le nostre riflessioni”, perché, già in difficoltà a comprendere le cose che sono alla portata della nostra intelligenza di mortali (“le cose della terra”), non sono in grado di comprendere ciò che “è gradito” a Dio (“le cose del cielo”). Per questo abbiamo chiesto a Dio di “donarci la sapienza del suo Spirito”, perché siamo in grado di seguire Cristo, “ogni giorno, da veri discepoli”, “portando la nostra croce”, cioè disponibili, come Lui, a far dono della nostra vita.

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