Nell’Eucaristia della scorsa domenica, l’apostolo Giacomo ci ha avvertito che «dove c’è gelosia e spirito di contesa c’è disordine e ogni sorta di cattive azioni» (Gv 3,16). La conferma di quelle parole la troviamo nella segnalazione di Giosuè a Mosè che lo spirito del Signore si era “posato” su due uomini, Edad e Medad, che non si erano recati alla tenda di Dio con i settanta uomini anziani, ma erano rimasti nell’accampamento, dove “profetizzavano”. (cfr 1 Lettura, Nm 1,25-29). Mosè risponde denunciando la gelosia di Giosuè («Sei tu geloso di me?») e la corregge, ricordando che quanto il Signore dona deve desiderarlo di condividerlo con tutti e impegnarsi perché questo accada («Fossero tutti profeti nel popolo del Signore e volesse il Signore porre su di loro il suo spirito!».
Un analogo episodio è raccontato dal vangelo (Mc 9,39-43). Dove Giovanni comunica a Gesù il tentativo dei discepoli di impedire a una persona di fare esorcismi in nome di Gesù, perché non apparteneva al loro gruppo («Maestro, abbiamo visto uno che scacciava i demoni nel tuo nome e volevamo impedirglielo, perché non ci seguiva»).
Giosuè , Giovanni con gli altri discepoli, si ritengono gli esclusivi destinatari dei doni del Signore (lo spirito del Signore, Giosu’, la sequela di Gesù, i discepoli). Il plurale usato da Giovanni (“non ci seguiva”) rivela che per i discepoli il problema non era che quella persona non seguiva Gesù, ma che non seguiva loro. Invece di stare insieme agli altri nel seguire Gesù, i discepoli pensano di mettersi sullo stesso piano del Maestro: deve seguire noi così come segue te.
Nella sua risposta a Giovanni Gesù sposta l’attenzione dei discepoli, la distoglie da loro e la ricentra sulla sua persona («Non c’è nessuno che faccia un miracolo nel mio nome e subito possa parlare male di me… chiunque infatti darà da bere un bicchiere d’acqua nel mio nome perché siete di Cristo, in verità io vi dico, non perderà la sua ricompensa»). Per Gesù ciò che conta è non seguire i discepoli, ma agire nel suo nome.
Gesù ci ricorda che non siamo noi, non è la Chiesa, il terminale, l’approdo delle persone, ma lui; noi, la Chiesa siamo soltanto lo “strumento” per condurre a lui, perché gli uomini e le donne possano riconoscerlo come colui che introduce alla vita, siano “suoi”, non “nostri”, seguano lui, non noi, agiscano non nel nostro nome, ma “nel suo nome”. Ci avverte inoltre a non stabilire noi che sia “dei nostri” e chi no, ma piuttosto a riconoscere i segni di un agire, di un comportamento che manifestano la sua presenza e la “potenza” liberatrice del suo Nome, abbattendo quelle barriere che troppo spesso la nostra diffidenza o la nostra gelosia costruiscono.
Le parole di Mosè e di Gesù sono preziose per don Giuseppe Giacani che inizia il suo servizio di parroco a Casine e Pianello; lo sono anche per don Andrea Franceschini, che inizia il suo servizio di parroco nelle parrocchie dell’Unità pastorale “Buon Samaritano”. Aiutate le persone delle vostre comunità a seguire Gesù, nella libertà e con la consapevolezza che seguire Gesù è “entrare nella vita”. Aiutate le vostre comunità a riconoscere con gratitudine e letizia i “segni” della presenza del Regno di Dio, del Signore risorto nella storia di questi tempi, così “dolorosi” e inquietanti, anche quando questi segni sono indicati da persone che non riteniamo essere “dei nostri”, che non frequentano i nostri luoghi (le nostre “tende”).