XXVIII domenica Tempo Ordinario (10 ottobre 2021)

Nella preghiera rivolta a “Dio, nostro Padre”, anzitutto abbiamo riconosciuto che Lui conosce i sentimenti e i pensieri che abitano il nostro cuore. Successivamente gli abbiamo rivolto una precisa richiesta (“donaci di amare sopra ogni cosa Gesù Cristo tuo Figlio”), giustificata dal desiderio di guadagnare la libertà (“diventiamo liberi”) che ci consente di “valutare con sapienza i beni di questo mondo” (cioè di saperli riconoscere per quello che effettivamente valgono) e di godere il bene del suo amore (il regno).

Il riferimento alla sapienza che ci permette di riconoscere il reale valore delle cose (cfr prima lettura, Sap 7,7-11), dice che noi misuriamo il valore delle cose, delle persone, dalla loro capacità di dare senso alla vita, di assicurare il nostro primo e fondamentale desiderio di un’esistenza bella, buona e felice.

E’ questo desiderio che ha portato la persona, di cui ci parla il vangelo (Mc 10,17-30) a interrogare Gesù riguardo a quanto doveva fare per garantire alla propria vita la pienezza che desiderava e che aveva cercato in una condotta irreprensibile (“tutte queste cose [i comandamenti indicati da Gesù] le ho osservate fin dalla mia giovinezza”).

La domanda fa onore a questa persona e ne certifica la serietà. La risposta di Gesù è preceduta da una segnalazione dell’evangelista: “fissò lo sguardo su di lui e lo amò”: «Due parole che dicono tutto: sguardo d’amore e amore che si esprime mediante tutta l’espressione del volto» (B. Standaert).

La seconda risposta di Gesù è articolata: constatata che l’osservanza dei comandamenti era pratica consueta fin dalla sua giovinezza, segnala anzitutto alla persona che “una cosa sola ti manca”. La cosa che manca all’interlocutore di Gesù non è una in senso numerico (hai già fatto tanto, ti manca ancora una cosa), ma si riferisce a ciò che è decisivo perché il desiderio di una esistenza piena possa compiersi. E Gesù chiarirà subito questa cosa decisiva che manca al suo interlocutore: “Seguimi”. A quella persona che chiedeva “che cosa doveva fare per avere la vita eterna”, Gesù propone la relazione con lui, una relazione che chiede di liberarsi dai propri beni. Nelle parole di Gesù la cosa che manca alla persona per assecondare il suo desiderio, diventa una persona, lui stesso. Gesù sollecita il proprio interlocutore a scegliere a chi affidare la propria esistenza, a chi chiedere di assecondare il proprio desiderio di una vita piena, se ai suoi beni o se a lui.

Come credenziale della sua proposta Gesù fa una promessa (“avrai un tesoro in cielo”). La persona è messa di fronte a una scelta, tra il tesoro che è già in suo possesso, a sua disposizione (i suoi molti beni) e un tesoro promesso, futuro, che riceverà dalle mani di un altro.

L’evangelista Marco ci informa sulla reazione della persona (“si fece scuro in volto e se ne andò rattristato”), spiegando anche la ragione (“possedeva infatti molti beni”). Quella persona, arrivata da Gesù di corsa (“gli corse incontro”), se va “rattristata”; ha fatto la propria scelta: affidare ai molti beni la propria vita, far conto su quanto già possedeva e non sulla promessa di Gesù, sulla relazione con lui. Si è fidato più dei propri beni che di Gesù.

Nell’invito di Gesù al suo interlocutore («Seguimi») sta il senso della vita cristiana. Gesù non chiede a questa persona di fare qualcosa di più di quanto sta già facendo (essere più buono, più generoso, più puro, pregare di più…), ma di spostare il centro della sua vita e di fissarlo in lui, di scegliere lui come unico bene della vita. Tale richiesta dice che Gesù si presenta agli uomini, a me, come più di un maestro da consultare per imparare a vivere bene, si offre come il Salvatore da accogliere e seguire, perché lui solo sa rispondere in modo esauriente al bisogno, che ogni persona avverte nel cuore, di una vita in grado di esprimersi in pienezza (“vita eterna”).

Nell’attaccamento ai “molti beni” dell’interlocutore di Gesù scopro un rischio che può compromettere la sequela del Signore: ritenere che la mia vita dipenda dai tanti “beni” che riesco a procurarmi (come l’agricoltore della parabola di Luca: «Anima mia, hai a disposizione molti beni, per molti anni: riposati, mangia, bevi e datti alla gioia», Lc 12,19). I “molti beni” cui affidare la mia esistenza, chiedendo che mi garantiscano la “vita eterna”, possono avere tanti nomi: la ricchezza col suo alto potere di seduzione; il successo che raccoglie attorno a me tanta ammirazione; una libertà sciolta da ogni responsabilità verso gli altri, impegnata solo nella promozione di se stessa…

Anch’io, come Pietro, posso sentire l’esigenza di chiedere garanzie al Signore, di sapere in che considerazione tiene la mia fede in lui, il mio servizio al vangelo. Anche a me Gesù, come a Pietro, mostra quale vita mi viene offerta da lui, rivela che la sua sequela non è una via di morte, ma di vita, non mi riduce in povertà, ma mi rende ricco, non mi fa perdere, ma guadagnare.

Il distacco che Gesù esige mi offre la possibilità di sperimentare l’unico vero guadagno per la mia esistenza, l’unica ricchezza per l’uomo: il partecipare alla stessa vita filiale di Gesù, alla sua comunione col Padre, che rende possibile anche un ampio e profondo orizzonte di relazioni con le persone.

Sta qui il “centuplo” che non mi fa rimpiangere quello che lascio per seguire Cristo, per servire il vangelo e che mi dà forza e coraggio nell’affrontare quelle “persecuzioni” (il rifiuto del mondo) che sono presenti nella mia esistenza di discepolo, come lo sono state nell’esistenza di Gesù.

Gesù Cristo è per me solo un maestro di vita o il mio Signore, il Salvatore della mia esistenza? La relazione con lui misura realmente la mia esistenza, unifica il mio cuore, fa da guida ai miei desideri? Sono veramente libero nel seguire il Signore? Quali sono quei “beni” – cose, persone, preferenze, pregiudizi, abitudini, necessità…- che m’impediscono di seguire Gesù?