Le due vedove, Gesù e noi. La situazione delle due vedove e il loro comportamento: entrambe si trovano in una condizione di estrema indigenza, sono vedove (quindi senza alcuna possibilità di sostegno) e povere (senza mezzi adeguati per affrontare la vita). Entrambe non trattengono per sé quel poco che hanno per sopravvivere: la vedova di Sarepta (cfr 1Re 17,10-16), «un pugno di farina nella giara e un po’ di olio nell’orcio», sufficienti solo per un ultimo pasto per lei e per il figlio («Andrò a prepararla per me e per mio figlio: la mangeremo e poi moriremo»); la vedova al Tempio (cfr Mc 12,33-44), «due monetine che fanno un soldo» (per Gesù «tutto quanto aveva per vivere»).
Entrambe si privano del poco che hanno, ma indispensabile, per sopravvivere, perché si fidano: la vedova di Sarepta della promessa di Elia che gli chiedeva “un pezzo di pane” («Non temere… perché così dice il Signore, Dio di Israele: “la farina della giara non si esaurirà e l’orcio dell’olio non diminuirà…”).
Nel commento di Gesù all’offerta nel tesoro del tempio da parte della povera donna («In verità io vi dico: questa vedova, così povera, ha gettato nel tesoro più di tutti gli altri. Tutti infatti hanno gettato parte del loro superfluo. Lei, invece, nella sua miseria, vi ha gettato tutto quello che aveva, tutto quanto aveva per vivere») emerge la fiducia che questa donna ripone in Dio.
Il valore del gesto delle due vedove povere non sta tanto in quello che hanno offerto, di per sé insufficiente, ma nel fatto che in quell’offerta hanno messo in gioco la loro vita.
Anche Gesù, come scrive l’Autore della Lettera agli Ebrei, proposta dalla seconda lettura (Eb 9,24-28) ha «offerto se stesso», «a nostro favore», «per togliere il peccato di molti». Quella di Gesù è stata un’offerta totale, senza riserve, né ripensamenti («una volta sola»), tanto che non deve più ripeterla («E non deve offrire se stesso più volte»). Sappiamo da Gesù stesso che la l’offerta della sua vita certifica la sua fiducia nel Padre, che si esprime nella piena adesione alla sua volontà.
Le due vedove povere e Gesù c’interpellano riguardo alla nostra reale disponibilità a fidarci di Dio.
La vedova di Sarepta ci chiede se ci fidiamo realmente della promessa di Dio che «la farina della giara non diminuirà e l’orcio dell’olio non diminuirà» (quanto garantisce la vita, dà sicurezza all’esistenza), quando ci viene chiesto di condividere le nostre risorse con chi ha bisogno, come il profeta Elia, di “un pezzo di pane” per vivere, per conservare dignità alla propria esistenza.
La vedova del tempio c’interroga su quello che siamo disposti a “offrire” al Signore, se è il “superfluo” (il tempo che ci avanza, dopo esserci occupati di quanto ci sta più a cuore, dei nostri “interessi”, la limitata disponibilità ad ascoltare il Signore, quando la sua parola ci chiede di rivedere le nostre scelte di vita, ci segnala una “verità” sulla vita, sul modo d’impostare l’esistenza, di vivere le relazioni, diversa da quella proposta dal costume corrente, dall’opinione comune).
Gesù, da parte sua, ci sollecita a costruire la nostra esistenza, dando realmente credito al Padre del cielo, fidandosi di Lui, compiendo la sua volontà (come recitiamo quotidianamente nella preghiera che lui ci ha consegnato: «sia fatta [in ogni giorno della mia vita] la tua volontà»).
Penso che noi tutti vorremmo essere capaci della fiducia in Dio mostrata dalle due vedove povere e da Gesù. La vita documenta la nostra fatica e spesso la nostra incapacità a dare compimento a questo desiderio. Perché, allora, non fare nostra la preghiera rivolta al “Padre onnipotente e misericordioso” prima di ascoltare la sua parola: «allontana ogni ostacolo nel nostro cammino verso di te, perché nella serenità del corpo e dello spirito, possiamo dedicarci liberamente al tuo servizio»?
Una richiesta avanzata non solo in questa Eucaristia, ma ogni volta che nel nostro cammino verso il Padre compaiono ostacoli che ci appaiono insuperabili.