Anche in questa penultima domenica dell’anno liturgico il Signore ci parla di quel “breve sabato del tempo” (come recita un inno monastico), che è la nostra vita che precede e prepara l’incontro definitivo con il Signore, che coincide con la sua venuta “seconda”, quella definitiva, che ci introdurrà al “grande giorno senza sera” (sempre secondo l’inno monastico).
La parola di Dio di questa domenica parla di questo tempo della vita attraverso delle figure, quella della donna forte, intraprendente, quella dei due servi operosi e quella del servo pauroso; figure che rappresentano due modi opposti d’interpretare il tempo della vita.
La donna forte, intraprendente, positiva, di cui ci parla il libro dei Proverbi (31,10-13.19-20.30-31) crea relazioni buone, positive, con il proprio sposo, di cui gode fiducia (“in lei confida il cuore del marito”), con il misero, il povero (“apre le sue palme al misero, stende la mano al povero”), con i suoi concittadini (“le sue opere la lodino alle porte della città”).
Il testo biblico proposto dalla prima lettura ci rivela che all’origine del comportamento dei questa donna operosa non sta tanto la fiducia in se stressa, nelle proprie risorse femminili, ma in Dio (“illusorio il fascino e fugace la bellezza, ma la donna che teme Dio è da lodare”).
Anche i due servi della parabola evangelica sono intraprendenti: non perdono tempo nell’impiegare i talenti ricevuti (“Subito colui che aveva ricevuto i cinque talenti andò ad impiegarli… Così anche quello che ne aveva ricevuti due”). L’esito positivo della loro azione è riconosciuto e apprezzato dal padrone. Nell’apprezzamento del padrone emerge la ragione della loro operosità: non si sono lasciati scoraggiare dal poco che avevano ricevuto (“bene servo buono e fedele… sei stato fedele nel poco”), ma hanno avuto fiducia nel loro padrone, hanno accolto il dono non come una provocazione, ma come un gesto di fiducia, di stima. Per questo si sono dati da fare senza ritardi e con profitto.
Il terzo servo invece non intraprende nessuna azione, se non quella di mettere al sicuro il talento ricevuto (“andò a fare una buca nel terreno e vi nascose il denaro del suo padrone”). Sarà lui stesso a spiegare le ragioni di questo comportamento: non ha avuto fiducia, ma paura del padrone («per paura…»), perché lo considera “un uomo duro” e prevaricatore (“mieti dove non hai seminato e raccogli dove non hai sparso”). Per questo ha rinunciato a ogni iniziativa («sono andato a nascondere il tuo talento sotterra»).
La reazione del padrone è dura nei toni (“Servo malvagio e pigro”) e nelle conseguenze (“Toglietegli il talento… gettatelo fuori nelle tenebre”).
Di fronte ai beni che il Signore ci offre (“le meraviglie della creazione e i doni della grazia [il suo amore]”, come riporta la preghiera della Colletta) possiamo far nostro l’atteggiamento operoso della donna forte e dei primi due servi oppure quello fallimentare del terzo servo.
Decisiva risulta la considerazione che abbiamo del Signore. Se il Signore appare ai nostri occhi come un Dio affidabile, perché ci fa dono dei suoi beni, perché ha fiducia in noi, desidera renderci partecipi della sua gioia, i beni che ci vengono da lui affidati ci trovano disponibili e operosi. Se invece il Signore è per noi un padrone dal quale difendersi, del quale temere, quanto riceviamo da lui, non lo accogliamo con fiducia, ma con paura; i movimenti della nostra libertà restano paralizzati, ci limitiamo al minimo.
Come stiamo utilizzando i beni (la vita, la fede, il tempo, gli affetti, le relazioni, le tante opportunità di bene…) che il Signore ci offre?
Da dove derivano la nostra inerzia, le nostre difficoltà nei confronti dei doni del Signore?
La VIIa giornata per i poveri, indetta da Papa Francesco, in questa domenica, ci ricorda che il migliore investimento dei doni ricevuti dal Signore (i talenti) è quello di un’attenzione concreta nei confronti di chi è privo di beni necessari per un’esistenza dignitosa.
Il tema della giornata (“Non distogliere lo sguardo dal povero”, Tb 4,7) sollecita un’attenzione ai poveri non saltuaria, ma continua, un’attenzione che diventa stile di vita, personale e familiare.
Nel suo messaggio il papa parla di una carità che non delega («Offrire del denaro perché altri facciano la carità è un gesto generoso; coinvolgersi in prima persona è la vocazione di ogni cristiano») e richiama al “realismo evangelico” della carità («La condivisione deve corrispondere alle necessità concrete dell’altro, non a liberarmi del superfluo»).